San Benedetto da Norcia, Abate, Padre del Monachesimo in Occidente, esempio di spiritualità, Patrono d’Europa. Nella breve disamina che si intende fare insieme, si desidera sottoporre all’attenzione dei lettori, alcune figure che hanno rappresentato e rappresentano modelli di fede, eccezionali per lo stile di vita nell’abbandono a ciò che i più definiscono “voluntas Dei”. Non si tratta di marcarne le virtù eroiche ma di vedere come la “Grazia” possa rendere fecondi. Per iniziare a tratteggiare le linee che contraddistinguono la specificità e la straordinarietà di una persona sono quelle elementari caratteristiche che definiamo particolarità. Di questo grande pilastro della fede nei mistici d’Occidente, che è San Benedetto da Norcia, Monaco Abate eletto Patrono d’Europa da Papa Paolo VI, si sono dette moltissime cose, dal nostro canto desideriamo lavorare ai margini della sua vita mistica e cogliere qualche sfumatura che lo vede nella sua figura di maestro spirituale di anime di tutti i tempi, di ogni tempo. “Amare spiritualmente” è l’ultima parola della vita di Benedetto posta come inclusione dell’inizio del suo itinerario mistico, in cui lo troviamo accompagnato da colei che “gli era intensamente affezionata”. Quello di Benedetto è un cammino dall’amore all’amore, da un contatto con le realtà della vita in modo “corporale” ad un modo di sentire le stesse realtà in modo “spirituale”. Nato a Norcia nel 480 ca – morto a Montecassino nel 547 ca. è fondatore dell’ordine dei Benedettini.

Viene venerato da tutte le chiese cristiane che riconoscono il culto dei santi. San Gregorio Magno, nel II Libro de I Dialoghi – l’unica nostra fonte storica sul santo di Norcia delinea il percorso della sua vita e la sua fisionomia spirituale. San Benedetto da Norcia, fratello di Santa Scolastica, nacque verso il 480 d.C., da un’agiata famiglia romana. A Norcia egli trascorse gli anni dell’infanzia e della fanciullezza. Adolescente fu mandato a Roma a compiere i suoi studi, ma, sconvolto dalla vita dissoluta della città, ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia del mondo per non precipitare anche lui totalmente nell’immane precipizio. Disprezzò quindi gli studi letterari, abbandonò la casa e i beni paterni e cercò l’abito della vita monastica perché desiderava di piacere soltanto a Dio. Raccontare la vita di colui che sarebbe divenuto il Santo Patrono d’Occidente è impresa ardua: di lui non s’interessò la storia, e non conosciamo quasi nulla, se non i miracoli e la Regola che scrisse per i suoi monaci. Qualche autore dice che il volto di Benedetto lo si vede male “per troppa luce”.

L’unico, che ci ha parlato di lui, lo ha inondato di chiarore soprannaturale. A noi moderni una vita raccontata a miracoli sembra poco documentata e poco interessante dal punto di visita storico, ma l’idea di papa Gregorio Magno è ben definita: la storia è evidente nell’opera di Benedetto, nei suoi monasteri che vanno disseminandosi in Europa, nella Regola che accuratamente descrive un tipo umano inconfondibile, ma la persona di Benedetto è un’incarnazione della grazia di Dio. Tessere le lodi di un uomo che cerca il nascondimento, quando non è fuorviante è sicuramente fuori luogo; interrogarsi sul senso e le motivazioni di questo nascondimento è il solo modo per avvicinarsi alla sua figura. Nei Dialoghi, san Gregorio Magno dipinge il Padre del monachesimo occidentale con una pennellata singolare: “È esatto dire che il venerabile Benedetto in quella solitudine abitò con se stesso, perché tenne in custodia se stesso entro i limiti della propria coscienza”. Affermazione che oggi lascia stupiti, perplessi: nell’era dello spazio virtuale e della connessione globale è possibile essere “sconnessi”? All’uomo moderno sfugge il senso profondo di queste parole, che riferiscono dello stile di vita di un uomo del Medioevo, che, per definizione, è vir Dei, ma che, nel suo intimo, ha le stesse prerogative di Marco Polo, Cristoforo Colombo, Galileo Galilei e, perché no, Steve Jobs: è un ricercatore instancabile.

Non a caso, l’invito Obsculta, che è la prima parola del Prologo della Regola, si rivolge all’uomo “qualunque” (quisquis recita il testo latino): “Chiunque tu sia, a te è rivolto il mio discorso” (cfr. RB, Prol. 3 e seg.). L’invito di Benedetto, allora, è ascrivibile all’uomo di tutti i tempi, all’uomo che desidera e brama e cerca la Verità, Dio e se stesso. La Verità, che non prescinde in alcun modo dalle verità del quotidiano, le riassume tutte nel primato di Dio: “Nulla assolutamente antepongano a Cristo” (cfr. RB, 72,11). Ed è sempre Cristo la cartina di tornasole che conferisce veridicità al cammino: “Se il discepolo dimostra di cercare Dio” (Si revera Deum quaerit, cfr. RB, 58, 7) è ammesso alla scuola di servizio del Signore, il monastero (cfr. RB, Prol. 46), dove tutto è sacro (dagli oggetti di uso comune, ai libri, ai vasi dell’altare, cfr. RB, 32), dove l’ospite è accolto come Cristo (cfr. RB, 53) e il fratello che sbaglia non soccombe al peso della colpa, nonostante soggiaccia alla disciplina, e l’Abate e i fratelli “terranno conto della sua umanità e faranno di tutto per risollevarlo” (cfr. RB, 27), attraverso la carità/amore.

L’invito “Ascolta”, posto in apice alla Regola, è la chiave per giungere alla meta di ciascuno, per giungere a Dio e alla Verità. L’Ascolto, che oggi sembra il grande assente, è l’atteggiamento che Benedetto ci invita ad assumere nel corso dell’esistenza; forse è un caso che alla prima parola della Regola, Obsculta (“ascolta”) faccia eco l’ultima parola, Pervenies (“giungerai”) ascoltando si giunge! Arriviamo, così, al motto desunto dalla Regola: Tace, quiesce, ora et labora, conosciuto comunemente come Ora et labora, con un significato diverso da quello che di seguito è offerto. Tace, perché il silenzio è il luogo dove l’uomo può fare chiarezza con se stesso, quiesce perché nel fermarsi ci si scopre immersi in un cammino orante (ora) che ci conduce a un continuo rinnovamento e trasformazione di noi stessi (labora), in una rinascita in Cristo. Ecco risuonare all’uomo di oggi un possibile senso del messaggio di Benedetto da Norcia.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa

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