La maternità in Maria è compendio, principio e fine di ogni maternità. Nel mese a lei dedicato, in questa seconda domenica di maggio, alla Sua figura fa riferimento il dono della maternità che vede nel dono il frutto dell’amore. Ma la maternità ha altri volti, ha altre sfumature, vediamole insieme. Scriveva padre Juan Eusebio Nieremberg che “l’amore che tutte le madri hanno avuto per i loro figli non è che un’ombra a paragone dell’amore che Maria ha verso uno qualsiasi di noi; Lei ci ama da sola molto più di quanto ci amano insieme tutti gli angeli e i santi”.

In questa seconda domenica del mese di maggio, si fa ricordo, sottolineandolo con forza, del meraviglioso dono che è la “maternità”, rivolgendo un pensiero alle mamme. Non possiamo, d’altro canto, non parlare della maternità umana, senza passare dalla “Maternità della Madre di tutte le Madri, Maria”. La madre, pilastro di ogni famiglia, cuore pulsante e fonte di vita per chi gravita intorno a lei. Eppure a volte la diamo per scontato. Dovremmo ricordare ogni giorno che cosa significa essere una madre. Ma non possiamo, semplicemente. Solo una madre può conoscere la portata dell’amore che si può rivolgere a chi è stato portato nel proprio ventre per nove mesi, e poi generato, con infinito dolore, incontenibile gioia. “Individuo” vuol dire “che non si può dividere”. Le madri invece si “dividono” a partire da quando ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere” (Papa Francesco). Una persona che rinuncia alla propria individualità, è la mamma, che assume su di sé l’impegno non solo di generare una nuova vita, ma anche di prendersene cura, per sempre, con tenerezza e dedizione, facendo proprie le gioie e i dolori di un’altra persona. Richiede tanto, tanto amore, tanto spirito di sacrificio, ed è questo il motivo per cui spezza il cuore vedere madri abbandonate, date per scontate, dimenticate da figli che, troppo presi dalla propria quotidianità, dimenticano a chi devono tutto ciò che hanno, tutto ciò che sono.

Nell’espressione “Beata colei che ha creduto” come scriveva Papa Giovanni Paolo II, possiamo trovare quasi una chiave che ci schiude l’intima realtà di Maria: di colei che l’angelo ha salutato come “piena di grazia”. Se come piena di grazia ella è stata eternamente presente nel mistero di Cristo, mediante la fede ne diviene partecipe in tutta l’estensione del suo itinerario terreno: avanzò nella peregrinazione della fede, ed al tempo stesso, in modo discreto ma diretto ed efficace, rendeva presente agli uomini il mistero di Cristo. Così mediante il mistero del Figlio si chiarisce anche il mistero della Madre. Se Cristo davvero cambia tutto, il Vangelo ha qualcosa da dire quando le giornate sono trascorse ad asciugare bambini bagnati, lavare il pavimento dove è appena successo “un incidente” e a riempire l’ennesima lavatrice cercando di mantenere un’attitudine positiva per non scoraggiare i nostri figli. Perché nonostante i social, i forum, i libri, i consigli ecc., una madre sente sempre di aver bisogno dì più aiuto nel capire come affrontare battaglie come lo svezzamento. L’inserimento a scuola. La disciplina per bambini ribelli. Ognuna di queste fasi è davvero una battaglia e rischia di diventare assorbente e totalizzante se si dimentica che in realtà le nostre vicende personali, la nostra maternità, i piccoli successi o fallimenti dei nostri bimbi sono inseriti in una più grande battaglia: una lotta spirituale che caratterizza la Storia (con la S maiuscola) e che di conseguenza influenza ogni aspetto delle nostre storie più piccole. In un mondo che sembra «orfano» c’è la speranza di una «maternità contagiosa» che porta accoglienza, tenerezza e perdono.

 Il linguaggio di Maria è la maternità: prendersi cura con tenerezza del Bambino. Questo è il linguaggio tipico della maternità: la tenerezza del prendersi cura. Maria non parla, non intrattiene gli ospiti spiegando ciò che le è successo, non ruba la scena. A noi ci piace tanto rubare la scena, lei al contrario, mette al centro il Bambino, prendendosi cura di lui con amore. Come tutte le mamme, Maria porta nel suo grembo la vita e, così, ci parla del nostro futuro. Prendersi cura è un linguaggio nuovo, che va contro questi linguaggi dell’egoismo. Che cos’è la maternità? Pare sempre più difficile cogliere nella sua profondità oggi questo vero e proprio servizio alla vita: essere madri significa raccogliere un seme di esistenza e farlo crescere per offrirlo al mondo. Non un semplice “compito femminile” ma un atteggiamento che tutti sono chiamati a coltivare. Partendo proprio dalla consapevolezza che in fondo ognuno di noi ha bisogno di un grembo materno accogliente che ci faccia sentire amati. Un’esperienza talmente ricca che Dio stesso ha voluto viverla incarnandosi nella storia grazie al sì alla vergine di Nazareth, divenuta così una madre per l’intera umanità.  Ma esistono anche altre “maternità”. Per parlare della “maternità secondo lo spirito” occorre fare una premessa che riguarda l’identità di sé e il concetto di donazione. La comprensione sempre più profonda e interiorizzata del “chi siamo” è infatti fondamentale per la propria maturazione e per poter vivere in pieno la maternità spirituale. “Essere se stessi equivale a dare se stessi, in quanto il dover essere della persona umana consiste nella donazione”.

Occorre ricordare che, una volta che ci si dona ad un’altra persona, non si può più rifiutare di donarsi: nel dono di sé l’altro entra a far parte della nostra stessa identità; il rifiuto del dono di sé diventa dunque, in qualche modo, rifiuto di se stessi. Vocazione primaria di ogni madre, tanto in senso fisico che per quanto riguarda la maternità nello spirito, è quella di aiutare il figlio a crescere, e la crescita deve riguardare l’integralità della persona. Vivere la maternità spirituale implica non semplicemente un “donare”, ma il donarsi. Il fine della donazione è rendere l’altro capace di autopossedersi per poi, a sua volta, donarsi. La maternità, che – come abbiamo già detto nel precedente articolo – non necessariamente si deve realizzare dal punto di vista fisico, è costituita fondamentalmente da un atteggiamento di fondo, che rende ogni donna incline al dono di sé. Vi è quindi nella donna un certo “bisogno” di donarsi, che si concretizza nel “dar vita”, nel “far crescere” e “prendersi cura”. È proprio per il fatto di essere fisicamente, biologicamente, psicologicamente e spiritualmente conformata per la maternità nella sua accezione più ampia – ossia per “dare la vita” – che la donna è chiamata ad essere portatrice di umanitàumanizzatrice dell’uomo e della società. Questo desiderio e questa disposizione naturale a rendersi disponibile verso chi si trova in situazione di necessità sono radicati nell’istinto materno, e questa disposizione è l’espressione più alta di maturità psichica e spirituale a cui una persona può giungere. Per concludere: La “vocazione all’amore”: chiamata specifica per ogni donna.

È importante quello che Giovanni Paolo II scrive nella Mulieris Dignitatem, sempre sul tema della donazione: “La dignità della donna si collega intimamente con l’amore che ella riceve a motivo stesso della sua femminilità ed altresì con l’amore che a sua volta dona. Viene così confermata la verità sulla persona e sull’amore. Circa la verità della persona, si deve ancora una volta ricorrere al Concilio Vaticano II: «L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé». Questo riguarda ogni uomo, come persona creata ad immagine di Dio, sia uomo che donna. L’affermazione di natura ontologica qui contenuta indica anche la dimensione etica della vocazione della persona. La donna non può ritrovare se stessa se non donando l’amore agli altri” (n. 30). Il Pontefice rileva che la dignità della donna sta nell’amore, amore che ella riceve ma che poi necessariamente ridona: il ricevere amore è semplicemente “la base” per poter amare. La persona adulta non smette di sentire il bisogno di ricevere amore, ma è anche capace di donare amore agli altri. Questa vocazione all’amore è propria di ogni essere umano; ma, come ben si capisce dalla Mulieris Dignitatem, è chiamata ancora più specifica per la donna, la quale porta come inscritta in sé questa capacità e allo stesso tempo questa necessità di amare e di donarsi agli altri. Che Maria ci aiuti a vivere il dono in tutte le sue più belle manifestazioni per non vivere una vita sterile ma feconda.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa – (immagini dal web)