“Coloro che abbiamo amato vivono una vita nella Luce!
Valore spirituale della memoria dei nostri defunti”
di Maria Pia Cirolla
La memoria di coloro che abbiamo amato e che ci hanno amato è il sigillo che lega il Cielo alla terra. Il pensiero e i volti che accompagnano la giornata della memoria dei nostri defunti, ha un sapore molto diverso da quello della solennità dei nostri amici Santi. Nella prospettiva umana, in giornate come queste sale la nostalgia, la tristezza sfiora i nostri volti mentre facciamo una carrellata rapida o approfondita di tutte le persone che abbiamo nel cuore, che sono parte di noi, o perché come nel caso dei nostri genitori, ci hanno dato la vita, o perché in altro senso, ci hanno amato ed ora non abbiamo più la possibilità di vivere di questo amore. La bellezza di questa festa si fa fatica a trovare, la si lega, erroneamente e nostalgicamente a ciò che tocca, ma direi anche giustamente, il nostro sentire, il nostro essere creature che hanno bisogno di amore, di sentirsi amati.
L’idea di commemorare in un unica ricorrenza tutti i morti risale al secolo IX grazie all’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny. Il significato è quello di pregare le per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della risurrezione e per tutti coloro dei quali solo Dio ha conosciuto la fede. Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei fedeli defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche “festa dei defunti”. Anche nella messa quotidiana, la liturgia riserva un piccolo spazio, detto “memento, Domine”, che vuol dire “ricordati, Signore” proponendo preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. Il colore liturgico di questa commemorazione è il viola, il colore della penitenza, dell’attesa e del dolore, utilizzato anche nelle esequie. Ma fatte queste premesse e date le informazioni storiche, vediamo di cercare quale messaggio spirituale possiamo trarre dalla celebrazione del 2 novembre, commemorazione dei fratelli defunti.
Portiamo dentro di noi tante storie e tante persone che, in ogni caso, hanno segnato la nostra esistenza e orientato le nostre scelte: volti e incontri di persone che ora non ci sono più. Ricordarci di loro ci farà bene; ci aiuterà a riconoscerli vivi, a rinsaldare la relazione con loro e a riconciliarci con la nostra storia; con loro potremo parlare – e permettere che anche loro ci parlino – e dire loro: “grazie, perdonami, ti voglio bene”, o solamente: “mi manchi” ci fa bene al cuore!
Sostare in preghiera presso le tombe dei nostri cari è però, ancor prima, un atto di fede nel Signore Gesù e in ciò che Lui ha fatto per noi: Egli, con la Sua morte e risurrezione, ha vinto il peccato e la morte e ci ha aperto le porte del Cielo. Un giorno verrà di nuovo e farà nuove tutte le cose e noi saremo per sempre con Lui. Asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento. Rivedremo anche i nostri cari, li riabbracceremo e, alla tavola del Cielo, sarà festa senza fine. Ma già ora possiamo unirci a loro: per loro possiamo anche pregare, sapendo che pure loro lo fanno per noi; è ciò che accade in modo speciale in ogni Eucaristia. È ciò che con la Chiesa affermiamo quando professiamo: “credo la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna”.
Fermarci dinanzi alle tombe dei nostri cari, o anche soltanto passeggiare nei viali del cimitero, ci aiuterà anche a meditare sulla nostra morte e ricordarci che siamo pellegrini; che un giorno saremo chiamati a rendere conto a Dio della nostra vita e a riflettere sull’urgenza della nostra conversione. Sarà una pausa salutare per pensare alla nostra esistenza e alle nostre scelte, e a tutte le occasioni perse perché vissute senza amare. “Dobbiamo avere chiaro che i fili spirituali intessuti tra le anime dei defunti e noi stessi non vengono spezzati dalla morte, continuano ad esistere, divengono anzi molto più profondi dopo la morte di quanto non lo fossero qui. Quanto ho detto va accolto come una verità solenne, colma di significato” (Cfr. Rudolf Steiner, “Il mistero del doppio”, O.O. 178).
Ecco un possibile significato della memoria nella giornata di oggi!
Spesso il tema del passaggio da questa vita che vediamo ed intendiamo come se dovesse, qualche volta finire tutto qui, rappresenta motivo di preoccupazione, di turbamento per alcuni, di totale indifferenza per altri vista la mancanza di prospettiva del cosa accadrà dopo. Si fanno mille e mille idee su cosa capita, come se fossimo privi di elementi su cui poggiare la nostra riflessione circa il dopo. Vero, questa prospettiva la si respira là dove una fede anche se minima, vacillante, dubbiosa, rabbiosa, insicura, precede il pensiero, la riflessione. Molti sono coloro che vivono non ponendosi affatto il punto di domanda “se tutto ora dovesse terminare?”.
A questo si fanno tanti gesti per scongiurare il momento, più o meno simpatici, spiritosi, che cercano di decentrare la domanda: cosa accadrà di me, quando la mia vita terrena si spengerà? Quale sarà la mia abitazione e quella del mio corpo finito il pellegrinaggio in questa vita?
La risposta la diamo sommariamente, confusamente, alcune volte in maniera lacunosa o lacrimosa, ma priva di significato spirituale o teologico. La vera risposta da dare a questo stato, al passaggio, la troviamo nella scena dell’alba al mattino della Risurrezione, quando Maria va al Sepolcro per compiere il rituale di sepoltura dopo la morte sulla Croce del Suo Amato Signore, e, con stupore trova la tomba vuota! Stupore, meraviglia, terrore quello che Maria proverà davanti a quello scenario, ma più di tutto il non sapere dove sta il corpo, almeno quel corpo di Colui che l’aveva salvata, aiutata, amata come mai nessuno prima di Lui. Il desiderio di riabbracciare ancora una volta quel corpo che l’aveva accarezzata, quegli occhi, ora a lei chiusi, che l’avevano cercata e guardata con tenerezza, quella grazia che le ha sciolto nodi di dolore, di emarginazione, di inadeguatezza in una società che l’aveva già condannata, giudicata, emarginata, etichettata come una poco di buono! Maria è il modello di quel credente che si sente toccare da una grazia speciale, che conoscerà quale sarà il destino ultimo dopo questo cammino tra le lacrime, le umiliazioni della vita, tra le indifferenze di quanti condannano senza sapere. Maria di Magdala è colei che riceverà il premio delle creature amate in maniera privilegiata dal Signore, quello della manifestazione della vera vita dopo tanto patire: la Risurrezione!
Il cristiano sa che la vita dopo la morte ha un suo preciso tratto definito dalla fede in Colui che dai morti è il Primo ed è l’Unico dei Risorti: Gesù. Il cristiano capisce che il passaggio per quanto doloroso da ciò che abbiamo amato e che si ama, rappresenterà l’inizio di un percorso nuovo, rinnovato, nella Luce della Verità, che solo in quell’ora e, nell’ultimo giorno, sarà dato conoscere. Un mio amico santo sacerdote spesso durante i nostri colloqui spirituali, mi ripeteva: “Maria Pia, in Paradiso non credere che si va in carrozza!”. Quanto mai frase saggia se la rivolgiamo alla memoria dei nostri defunti. Quanta sofferenza per alcuni di loro, quanta amarezza nel vivere dolori silenziosi e non ascoltati da parte di chi, invece, si aspettavano accoglienza, comprensione e sostegno.
La giornata dei defunti ci fa capire e relativizzare il senso di ciò che siamo realmente e dovrebbe aiutare a relativizzare, come alcune volte accade, quel senso delirante di onnipotenza che si respira in chi crede e forse spera, di essere in questo mondo con totale radicalità e permanente, in un per sempre qui ed ora che rallenterebbe il significato del vero e di ciò che concretamente siamo. Altro e ultimo breve pensiero: ricordarsi di coloro che non ci sono più deve spingere, meglio dovrebbe indurre ad amare mentre sono accanto a noi coloro che sono oggetto del nostro amore che diventa poi disperato là dove riconosciamo di non averli amati abbastanza mentre ci camminavano accanto. Ecco perché il messaggio è sempre quello che ruota attorno al fulcro centrale del nostro destino: amare al di là e, di più, di ogni ragionevole speranza! Per non disperare, per non lasciare che le lacrime accompagnino questi ricordi, per non consentire a chi vive con noi, il non tormentarsi del non amore e delle mancanze che non siamo stati capaci di dare!