Chi sono?

Io sono tu che mi fai…

La cosa che si desidera maggiormente è la consapevolezza nell’identità, quella che mi porta ad assumere contorni chiari, precisi e circoscritti su chi sono io nella realtà, chi sono davvero, dinnanzi a me stesso/a non quello che lascio trapelare nell’assumere un ruolo, una mansione esteriore. Ci ha affascinato molto il concetto tratto da un più lungo discorso di don Giussani sull’io che cerca la sua identità non solo ontologicamente ma emotivamente, spiritualmente e in concreto.

L’io, l’essere umano, è quel livello della natura in cui essa si accorge di non farsi da sé […] L’uomo si sperimenta contingente: sussistente per un’altra cosa, perché non si fa da sé. Sto in piedi perché mi appoggio a un altro. Sono perché sono fatto. Come la mia voce, eco di una vibrazione mia, se freno la vibrazione, la voce non c’è più. Come l’acqua che sgorga dalla sorgente che deriva tutta da lì. Come il fiore che dipende in tutto dall’impeto della radice. Allora non dico: “Io sono” consapevolmente, secondo la totalità della mia statura d’uomo, se non identificandolo con “Io sono fatto”. È da quanto detto prima che dipende l’equilibrio ultimo della vita. Siccome la verità naturale dell’uomo, come si è visto, è la sua creaturalità, l’uomo è un essere che c’è perché è continuamente posseduto. Allora egli respira interamente, si sente a posto e lieto, quando riconosce di essere posseduto. La coscienza vera di sé è ben rappresentata dal bambino tra le braccia del padre e della madre, sì che può entrare in qualsiasi situazione dell’esistenza con una tranquillità profonda, con una possibilità di letizia (come narra don Giussani).

Sulla scia del Don Giussani, anche queste parole di Carròn di CL, precisano meglio il pensiero che intendiamo lasciare con questa nostra breve riflessione: “La prima cosa che posso fare è amare la mia umanità così come è, perché questa mia umanità può attraversare periodi o circostanze o momenti bui… Ora, queste circostanze, che possono essere percepite come una disgrazia, come qualcosa da evitare, come qualcosa da nascondere, io non riesco a non guardarle in faccia. Potranno esserci momenti in cui puoi fare più o meno fatica, ma c’è qualcosa di più profondo di tutti disturbi – diciamo – invalidanti che uno può avere, di tutti i momenti in cui il nulla serpeggia. E’ proprio in quei momenti che uno si rende conto di qual è il fondo dell’io, il fondo più profondo dell’io, in cui si rende conto di tutta la vertigine, di tutta la voragine che c’è dentro questo fondo dell’io […]

Quando è risvegliato nel suo essere dalla presenza, dall’attrattiva, dallo stupore, ed è reso grato, lieto, perché questa presenza può essere benefica e provvidenziale, l’essere umano prende consapevolezza di sé, riprende lo stupore originale con una profondità che stabilisce la portata, la statura della sua identità. In questo senso se ora, sono attento, se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che non mi faccio da me, non mi do l’essere, non mi dono la realtà di ciò che sono, ma sono “dato”.

Nell’A.T. “Dio disse a Mosè: Io sono colui che sono!”. E ancora: “Così dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi!” (Es 3,14)     

  Nella vastità solitaria del deserto, ecco accendersi una fiamma: da un rovo che arde si leva una voce misteriosa che interpella quel viandante spossato. Tutti hanno inciso nella fantasia questa scena che ha anche conquistato la storia dell’arte: Mosè fuggiasco dall’Egitto riceve al Sinai la vocazione che lo impegnerà in un’ardua missione, quella della liberazione del suo popolo dall’oppressione del faraone. Là, in quel momento capitale della storia, Dio si rivela con una frase enigmatica sembra una definizione, ma è anche un’espressione indecifrabile, è la rivelazione di un nome, ma ne è anche quasi una negazione, nella consapevolezza, tipica di quella cultura, che possedere il nome di una persona o di una cosa è dominarla. E Dio non può essere sottomesso, imprigionato e manipolato.

         Ecco, allora, davanti a noi quella formula che nell’originale ebraico suona così: ’ehyeh ’asher ’ehyeh, “Io sono colui che sono”, formula abbreviata nel semplice “Io-Sono”. In questa misteriosa denominazione si è appuntata da secoli l’analisi di semplici lettori e di grandi teologi. Certo è che al centro si ha il verbo “essere” che potrebbe presentare Dio come l’Esistente per eccellenza (più che l’Essere in senso filosofico, come si usava proporre nel pensiero occidentale). Egli è il Vivente, l’Immortale, l’Io supremo, trascendente e misterioso, perfetto, eterno e infinito.

  In questa luce sembra quasi che Dio si rinchiuda nella sua sublimità di “Colui che è”. In realtà, questa designazione non è una fredda definizione teologica che relega Dio nel suo orizzonte superiore, remoto da ni. “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi per liberarvi” (Es 3, 14-15). Non è, dunque, un imperatore divino impassibile o indecifrabile come quello della mitologia greca. Questo Dio ha scelto di rivelarsi ai padri di Israele, entrando quindi nella storia dell’umanità, e ora sta per essere alle spalle di Mosè in una missione a prima vista impossibile.

Certo, un Dio misterioso che non è riducibile a una componente della realtà, “Io-Sono” in tutta la grandezza della divinità; ma un Dio che è “Emmanuele”, Dio-con-noi, chino sulla sua creazione e sull’umanità. Egli, come si dirà nell’Apocalisse è “Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Cfr. Gv. 1,8), capace di abbracciare, superandolo, il tempo e lo spazio perché eterno e infinito, pronto ugualmente a camminare accanto alla sua creatura, a guidarla, a sollevarla, a redimerla. Quello che a noi interessa in questo passaggio ora, è offrire nel NT cosa dice Gesù di sé stesso in quell’Io Sono così come lo si può evidenziare nel vangelo di Giovanni.

Si potranno scorgere allora in questo Vangelo sette affermazioni di Gesù su se stesso che sono molto importanti e sulle quali dobbiamo riflettere molto bene noi ci soffermeremo solo su alcuni di questi.

  • Io sono il pane della vita! “

Io sono il pane della vita chi viene a me non avrà mai più fame e chi crede in me non avrà mai più sete” (Gv 6,35).

Per comprendere tale similitudine del pane, dobbiamo considerare che questo cibo rappresenta il sostentamento, alimento per sopravvivere. Dio diede la manna, il pane che discese dal cielo per sostenere il suo popolo ma essi dopo averlo mangiato ebbero ancora fame. Nel deserto fece scaturire l’acqua dalla roccia e tutti bevvero ma poi ebbero ancora sete. Ben altre le parole dette da Gesù in questo brano: “Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca dell’Eterno”. C’è un cibo per il corpo che noi assumiamo ma serve solo a mantenere in vita il corpo. C’è un cibo per la mente che serve ad istruirci nella conoscenza affinché mediante tale conoscenza possiamo realizzare molte cose. Ma c’è un cibo per lo spirito che solo la Parola di Dio può mantenere in vita e la Parola di Dio si è fatta Carne per raggiungere ognuno di noi. Gesù è il vero pane che dona vita al mondo.

  • Io sono la luce del mondo!

E Gesù di nuovo parlò loro, dicendo: “Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Senza luce ci sono solo che tenebre e nelle tenebre tutti sono come ciechi. E ancora: “Io sono venuto per fare un giudizio affinché quelli che non vedono vedano e quelli che dicono di vedere diventino ciechi”. Il mondo vive nelle tenebre proprio a motivo del peccato. Giovanni testimoniò questo dicendo: (cfr. Gv 1, 4-5) “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa”. La nostra vita non può essere illuminata senza!

  • Io sono la porta!

Io sono la porta; se uno entra per mezzo di me sarà salvato” (Gv. 10, 9). Le persone alle quali fu rivolta la frase, sapevano che l’ovile aveva una sola porta dalla quale entrare ed uscire, in alcuni casi l’ovile aveva anche delle finestre ma solo i ladri ed i briganti passavano per esse. Oggi si aprono davanti a noi molte porte ma non tutte portano alla salvezza e al pascolo! C’è la porta del successo… C’è la porta del potereC’è la porta della drogaC’è la porta del sessoC’è la porta della religioneC’è la porta dell’egocentrismo…C’è la porta dell’indifferenza…della discriminazione… Sono tutte porte che aprono altre vie ma che non portano alla vita. Tutto ciò di cui hai bisogno è di attraversare quella porta.

  • Io sono la vera vite!

Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” (Gv 15,1).

Questa è una figura molto bella su cui porre attenzione. Il Padre è l’agricoltore per eccellenza e quale miglior frutto se non quello di Gesù avrebbe potuto dare? “Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla”. Ci sono molti frutti che all’apparenza sembrano buoni ma sono immangiabili perché sono selvatici. Nel mondo si vedono molte persone fare grandi cose, grandi opere di bene che all’apparenza sembrano buone ma se poi si va a verificare si scopre che non sono fatte in Dio. “Io Sono la vera vite”, se siamo stati innestati nella vera vite, avremo la certezza di fare buoni frutti ma senza di lui non possiamo fare nulla di buono. Lasciando un pensiero finale.

Ciò che si comprende dai vari “Io Sono” di Gesù è che in definitiva tutto ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita è proprio Gesù stesso. Non abbiamo bisogno di più istruzione né di più conoscenza né di più ricchezze né di tutto ciò che il mondo ci può offrire poiché in Cristo abbiamo tutto. I religiosi del tempo che contendevano con Gesù, non avevano compreso che il Messia era venuto proprio per loro, per liberarli da una sorta di cecità indifferente al grido innocente, per dare un senso alle loro vite. 

Speriamo di arrivare a comprenderlo, noi, ora…

Di Consuelo Noviello

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