Si parte da un dolore, la morte fisica che segna la fine del cammino terreno del Messia che apparirà agli occhi dei sapienti “un fallimento”, si dovrà passare dal buio della Notte su tutta la Terra, per ascoltare e vedere le azioni scellerate degli uomini abbandonati a loro stessi, per arrivare a quell’Alba dove la Luce Nuova segnerà il passaggio e la Vittoria della Vita Rinnovata sulla morte.
Lo sguardo del Redentore che ci rivolge dalla Croce, in questo singolare invito: “Dammi il tuo cuore”, dice, dammi tutto te stesso. Cos’è, infatti, il cuore, se non il centro del mio io? Il luogo del bisogno – desiderio che mi costituisce, destato in ogni istante dalla realtà che lo urge ad un continuo coinvolgimento? Il cuore è l’autentica molla di ogni mio atto di libertà. Il sussurro del Crocifisso ci sorprende in questa Croce che indica in apparenza una sconfitta, una morte e un fallimento. Cosa può dire un Crocifisso sconfitto agli occhi del mondo ad un cuore, cioè ad un io strutturalmente inquieto e ancor più, se è possibile, provato dalla complessità contraddittoria del contesto socio – culturale in cui oggi siamo chiamati ad affrontare il talora faticoso “mestiere di vivere”? Un Crocifisso che si rivolge ad un cuore inquieto non è l’incontro di due problemi, la somma di due negativi? Cosa può mai venirne di buono?
Da duemila anni schiere di uomini e di donne, ma soprattutto intere generazioni dei nostri padri, hanno risposto positivamente al sussurro dell’Uomo della Croce. Lasciarsi guardare da Gesù: ecco la strada perché la sete del nostro cuore venga saziata, perché il desiderio che ci costituisce sia compiuto. E così nel Volto di Gesù che ci guarda prende forma il nostro volto. Ogni uomo, infatti, prende forma dallo sguardo di quell’Uomo su di lui, che chiama la sua libertà.
Il cristiano ai piedi della Croce deve chiedere a Dio il dono della Speranza che ebbe Maria ai piedi della Croce, ossia che il dolore e la morte non avranno mai l’ultima parola. Chiediamo davanti al Crocifisso il dono della Speranza! Guardiamo la Croce di Gesù e chiediamo di donare totalmente la nostra vita in difesa del bene che viene da Dio e il dono della Speranza che di fronte al dilagare di tanto male ci rassicura che sarà il bene di Cristo a vincere.
Altro momento della Liturgia del Triduo è la scena disegnata nel “Sepolcro”. La tomba pone il sigillo alla nostra mortalità, appare come il tragico traguardo della vita terrena, il segno muto di vittoria della morte, il luogo in cui la vita diventa il nulla polveroso. Anche Gesù, dopo la drammatica Passione e Morte, come tutte le creature mortali, è deposto nel Sepolcro. Dopo la morte, avvolto in un candido lino, è messo in una tomba nuova scavata nella roccia e sigillata da una grande pietra. Quel silenzio di sepoltura, però, non è vuota e amara speranza fallita ma silenzio d’attesa di fede viva e di fulgida speranza. Quella tomba è luogo inquieto che preoccupa e attrae perché quell’uomo morto non è più reperibile all’interno dello spazio e del tempo. Nel Sepolcro, il Verbo fatto Silenzio e la Luce fattasi Buio, diventa grido di vittoria e splendore di Risurrezione. Nel mistico itinerario, che ha inizio nell’incarnatus e la fine nel sepultus, Gesù assume e vive la vicenda umana sino alla sepoltura, così il nostro essere morti e sepolti viene redento; l’irreversibile corruzione di morte sepolcrale, per Cristo, con Cristo e in Cristo Risorto, si trasfigura in luce di Risurrezione, lì dove si rinasce come creature nuove aperte alla speranza della vita eterna.
L’evento della Risurrezione non ha avuto testimoni. Gesù, a testimonianza della sua risurrezione lasciò il sepolcro vuoto e i segni della sua sepoltura. Immagine che colpisce è la figura di Maria, Madre di Dio, Madre della Chiesa nascente dal Sangue sparso, Madre dei credenti, oltre alle “donne” che partecipano a questi momenti di dolore dove Tutti sono fuggiti, fino ad assicurarsi con la loro “fedeltà e fiducia” il posto di “annunciatrici di Speranza con l’avvenuta Risurrezione”. Come Giuda si servì del denaro per tradire, così le guardie del Sepolcro rinnovarono il tradimento col falsificare la verità della Risurrezione; la menzogna, infatti, fu divulgata con arte, ma la Verità non si lascia imprigionare perché è splendore di Risurrezione. Il Sepolcro è vuoto perché proprio lì esplode la Risurrezione. Il sepolcro non è la tomba della nostra speranza, nel senso in cui ogni speranza viene sepolta, ma perché, proprio lì, vivono i segni di ogni speranza di glorificazione. Se la tomba è l’ultima parola della natura, non lo è di certo per la verità del Vangelo.
Cristo Risorto vince ogni luogo di morte. La fede è offerta solo a chi ama d’amore grande. Crede alla risurrezione chi partecipa al banchetto dell’Amore. La prima a recarsi al sepolcro è lei: Maria, la peccatrice di Magdala, alla quale è stato perdonato molto perché molto ha amato. È la prima nella fede perché è la prima nell’amore. All’alba della prima domenica, corre ansimante al sepolcro, tomba della sua speranza. Corre verso il luogo della morte e trova i segni della Risurrezione. Va verso l’oscurità triste della tomba ed è investita dalla luce della Vita. Giovanni descrive la scena con un dialogo stupefacente tra Maria, gli Angeli e Gesù (Cfr. Gv 20, 11 – 18). I due Angeli in bianche vesti dissero a Maria: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Finché non lo incontra Risorto, il pianto di Maria sa ancora di passione mortale. Ma ecco che lei si volta indietro e vede, senza riconoscerlo, Gesù in piedi che le dice: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Lei, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. È la prima parola che il Risorto rivolge a creatura umana. Lei ha la cognizione del Risorto solo quando la sua presenza diviene appello personale, non riconosce Gesù immediatamente ma improvvisamente quando è chiamata per nome. Folgorata dalla luce pasquale, esplode in un grido di gioia: “Rabbunì!” Il suo Maestro Risorto è ormai il suo cuore. L’appassionato duetto d’amore si situa e si attua non più nel pianto accanto al Sepolcro vuoto ma nell’incontenibile gioia dello spazio luminoso creato dalla Gloria. “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre”.
Maria vuole eternare l’incontro ma ormai Cristo Risorto conferma che la sua presenza che permane tra gli uomini non sarà data da “apparizioni” occasionali ma sarà presenza duratura, stabile e piena attraverso il dono dello Spirito. La glorificazione della Risurrezione, Ascensione e Dono dello Spirito, sarà la nuova relazione di Gesù con gli uomini. Maria, vivendo in pienezza d’amore il passaggio dalla vita secondo la carne alla vita secondo lo Spirito, diviene la prima testimone della Pasqua: “Và dai miei fratelli e dì loro: “Salgo al Padre Mio e Padre Vostro, Dio Mio e Dio Vostro”. Ecco che è Pasqua, si fa luce, è tutto più chiaro a Maria!!! L’incontro pasquale termina quando lei va dai fratelli discepoli ad annunziare loro l’Evento: “Ho visto il Signore!” e dice loro tutto quello che le aveva detto. Maria, da peccatrice, inviata come “Apostola agli Apostoli”, diviene la prima Evangelizzatrice del Risorto. La fede è rapporto personale e vivo con Gesù Cristo, vivente in eterno e veniente nella storia dell’uomo. All’alba del “primo giorno” assistiamo a un concitato andirivieni dal Sepolcro al Cenacolo. L’incontro con il Signore sarà sempre attraverso la Parola e l’Eucaristia celebrata. Dio, in Cristo, non salva “dalla morte” ma “nella morte”. Se Cristo è Risorto dalla morte, anche noi, in Lui, risorgeremo nella Gloria. La Chiesa, nella Sequenza della Messa di Pasqua, canta in forma lirica il dialogo con Maria Maddalena: “Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via? La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo Risorto”. Poi, riecheggiando l’atto di fede di Maria, acclama: “Sì, siamo certi, Cristo è davvero Risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza”. Possa ritornare ad echeggiare il grido di esultanza in ogni vita, in ogni famiglia, in ogni cuore, possa la Speranza trionfare oggi e sempre quale garanzia della vita futura che è un “già ma non ancora” pienamente Luce, pienamente Amore, pienamente Risurrezione.
Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa