Sant’Elia Profeta identificato nell’immagine dei credenti come il messaggero del “fuoco”, Elia è il profeta del fuoco, ardente di amore per il Dio unico, testimone di Dio anche nel tempo dell’apparente sconfitta di Dio: proprio così ha una grande importanza tanto nella tradizione d’Israele, quanto nel Nuovo Testamento, dove con Abramo, Mosé e Davide è uno dei quattro personaggi della storia ebraica più richiamati. È così presentato nel Libro del Siracide (48,1): “Allora sorse Elia profeta, simile al fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola…”.

Questo grande mistico e contemplativo del Cielo, Elia è il profeta che dice pochissime parole, arde come il fuoco, perché con la parola della sua fede fa scendere dal cielo il fuoco che divorerà il sacrificio preparato per il Signore sul Monte Carmelo, e in un carro di fuoco è assunto in Cielo. In quanto esperto di comunicazione rapida con il cielo – data la sua assunzione in un carro di fuoco (secondo i Maestri d’Israele percorre l’intera distanza in quattro balzi, quattro come sono i punti cardinali) – nella tradizione mistica della Kabbala è colui cui il Signore affida il compito di portare ai mistici la rivelazione dei segreti divini. È inoltre inviato per essere invisibilmente presente alla circoncisione di ogni figlio d’Israele e renderne poi testimonianza in cielo. Perciò quando si circoncide un bambino si dispone una sedia vuota per lui: è la sedia di Elia. E nel banchetto pasquale c’è sempre un posto preparato per Elia, per assicurare la comunicazione col cielo, essere interrogati sulla purezza della fede e avvisati per tempo dell’avvento del Messia.

Qualche nota biografica su di lui: Elia proviene da Tisbe (villaggio della Transgiordania) e svolge il suo ministero profetico nel regno del Nord ai tempi dei re Acab, Acazia e Joram nel sec. IX (fra l’874 e l’841 a.C.). Acab aveva sposato Gezabele, figlia del re di Tiro, e aveva favorito il culto idolatrico del Baal di Tiro. Elia si presenta come il gigante della fede, il testimone del Dio unico: il suo nome esprime il suo messaggio – Eli = mio Dio e Ja: il mio Dio è Jhv. È colui che dimostra con la vita che a Dio solo è dovuta fiducia e obbedienza: vive alla presenza di Dio. “Per la vita del Signore Dio d’Israele, alla cui presenza io sto” (1 Re 17,1; 18,15). L’intera opera di Elia fa comprendere come la vera tentazione dell’uomo non sia l’ateismo, ma l’idolatria. Elia è libero, coraggioso e indomabile davanti ai potenti (Acab), difensore dei deboli (Nabot, la vedova di Zarepta), né ha paura del giudizio della gente: ha zelo e vive la solitudine spirituale. Nel tempo della siccità, in cui la tentazione dell’idolo rassicurante è forte, Elia ricorda a proprio rischio che l’acqua della vita viene solo da Dio e che Israele è il popolo che dipende totalmente dall’alto, da Dio: è questa la grande differenza col popolo d’Egitto, simbolo di tutti gli idolatri che confidano nelle proprie capacità e non in Dio solo: “Perché il paese di cui stai per entrare in possesso non è come il paese d’Egitto da cui siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con il piede, come fosse un orto di erbaggi; ma il paese che andate a prendere in possesso è un paese di monti e di valli, beve l’acqua della pioggia che viene dal cielo: paese del quale il Signore tuo Dio ha cura e sul quale si posano sempre gli occhi del Signore tuo Dio dal principio dell’anno sino alla fine” (Dt 11,10-12).

La stessa geografia d’Israele ha dunque un valore teologico e getta luce sul messaggio di Elia, il paladino del monoteismo radicale e della fiducia nell’unico Dio davanti alle prove della vita e della storia. Sia la sua vocazione così come la sua prova nella fede, sono strettamente collegate all’atteggiamento di obbediente abbandono alla volontà del Dio di Israele. La sua volontà di adesione ad un progetto preparato per lui, conosce il cedimento, la paura, e comincia a vacillare nella notte, nel buio.  Il punto di partenza è la debolezza di Elia, che ce lo fa sentire molto vicino nella sua umanità. Dio interviene con delicatezza nel momento della massima umiliazione di Elia. Elia va verso il deserto mosso da domande vere: il dolore di un popolo che ha conosciuto Dio e lo ha abbandonato, nonostante i segni di misericordia e di potenza; la persecuzione dei potenti, cui dà fastidio il testimone delle esigenze di Dio. È impaurito, stanco, desidera la morte: la sua sofferenza nasce dal constatare quella che gli sembra la sconfitta di Dio nel cuore del Suo popolo. La domanda su Dio, che lo spinge verso il deserto, è per lui veramente questione di vita o di morte. La disperazione lo tenta, sembra addirittura afferrarlo: la via che sta per aprirsi è una vera via di purificazione e di ritorno a Dio.

Elia va a cercare Dio non in un posto qualunque, ma nel deserto: il deserto – midbar – è luogo carico di significato. Anzitutto, nella tradizione ebraica è il luogo del dabar – la parola: il gioco di termini – midbar/dabar – è caro ai Maestri ebrei. Nel deserto si ascolta la parola (cf. Os 2,16: “La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”). Esso è il luogo della memoria dell’amore: “Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata” (Ger 2,2: il primo amore fra Dio e Gerusalemme). Il deserto è però anche il luogo della prova, in cui può esprimersi la libertà dell’uomo e si sperimenta la fedeltà di Dio: “Il Signore tuo Dio ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire(Dt 8,15-16). Mons. Bruno FORTE così si esprime: “Nel deserto Elia impara la grammatica di Dio, che gli parla in segni umilissimi: un pane per nutrire le forze nel cammino, un orcio d’acqua per dissetarsi. Sono il pane e l’acqua indicatigli dall’Angelo, segno profetico del pane di vita e dell’acqua che zampilla per la vita eterna. Sono per noi il richiamo a servirci nella ricerca dell’esperienza di Dio dei segni umilissimi dei sacramenti, in cui ci sono dati il perdono (il battesimo, la riconciliazione) e la grazia della vita sempre più piena (l’eucaristia)”. Nel deserto Elia accetta i tempi di Dio, rinunciando ai suoi tempi: “Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb” (v. 8). Persevera nel cammino delle notti e dei giorni, secondo quel tempo misterioso, significato dal numero 40 (gli anni dell’esodo, i giorni del deserto di Gesù, il tempo che prepara la sua ascensione al cielo), tempo che non sta nelle nostre mani, ma unicamente nelle mani di Dio.

Gli abitatori del tempo devono affidarsi al Signore del tempo, che dall’eterno lo governa e lo guida: gli appuntamenti di Dio non sono i nostri. Le domande che ci pone la storia di Elia sono decisive per intraprendere coraggiosamente il cammino della fede, della vocazione, del servizio cui siamo chiamati: Guardo a Dio solo? Sono libero dai giudizi della gente? Sono dalla parte degli umili? Servo il Dio vivo e lui solo? Cerco di essere con l’aiuto di Dio il testimone di Dio anche nel tempo della sconfitta di Dio? Quali sono gli idoli che mi / ci impediscono la conoscenza del Dio vivo e vero? Cerco Dio a partire da domande vere o voglio solo servirmene? Lo cerco nel deserto o nel chiasso delle mie pretese, dei miei gusti e delle mie attese? Lo cerco negli umili segni che Lui sceglie o voglio segni volgari, risposte tranquille e sicure? Lo cerco secondo i Suoi tempi o voglio imporgli i miei? Lo riconosco al passaggio o voglio trattenerlo, catturarlo per me? Riconosco la voce del silenzio o cerco i linguaggi della forza e dell’apparenza del mondo? Toccato da Dio sono pronto a partire di nuovo per annunciarlo a tutti, dove Lui vorrà, come Lui vorrà? Possa questo grande maestro dell’abbandono fiducioso nella potenza del Dio vivente accompagnare i nostri tiepidi passi alla ricerca della Verità, alla conquista della Verità, alla Speranza promessa.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa