“La guarigione:ἄκεσις [-εως, ἡ]”
di Maria Pia Cirolla
Capire di avere bisogno di essere guariti!
Tra le tante immagini legate alla figura di Gesù, una che attrae e che ha maggiormente occupato spazi nella teologia neotestamentaria, è quella che lo vede nei panni di guaritore, di Colui che offre a chi sta nella sofferenza e nel bisogno di uscire da una condizione di schiavitù, dovuta al disagio della malattia sia essa psicologica o fisica, una possibilità di riscatto sociale e personale. Nella cultura e nella usanza giudaica, la malattia, il disagio psichico e le altre tipologie di menomazione fisica e/o morale, veniva considerata una colpa e quindi era la manifestazione della mano di Jahvè che puniva e che rendeva così evidente lo stato di peccato. La guarigione dal greco in una delle sue traduzioni akesis intende proprio questo ricevere il dono dell’essere curati.
La venuta di Gesù, con tutto quello che ne ha rappresentato, non sta a noi imbastire una difesa sul Suo operato, ha stravolto i piani e ha ridato, se possiamo dire così, dignità al disagio, alla sofferenza, al disturbo psichico e ha elevato il dolore, il problema identificato come motivo di scandalo, a dono, a via per essere riconosciuti come gli eletti nella pedagogia di Dio. Tra le molte realtà meritevoli di questo intervento e di questa grazia oggetto dell’azione del Messia, noi ne nominiamo alcuni: la guarigione della figlia di Giairo, la guarigione del cieco nato tale, la liberazione dalla possessione diabolica dell’indemoniato.
In tutti questi episodi citati, le persone chi si trovavano ad avere bisogno dell’intervento di Gesù erano in una condizione di assoluta disperazione, di emarginazione dal contesto sociale e addirittura di morte e Gesù li fa oggetto del Suo intervento, del suo aiuto di carità e li cura.

Del primo episodio la guarigione della figlia di Giairo un capo della Sinagoga è una combinazione di miracoli di Gesù descritta nei tre vangeli sinottici (Vangelo secondo Marco 5,21-43, Vangelo secondo Matteo 9,18-26, Vangelo secondo Luca 8,40-56). A questo uomo importante della società dicono che la figlia è morta e che nulla può essere più fatto per lei. Ma Gesù essendo stato informato dell’accaduto, chiede a Giairo una sola cosa: di continuare ad avere fede: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. Fede che significa quindi fiducia, speranza che ogni cosa può trovare una sua giusta collocazione, anche se nell’evidenza appare senza speranza, senza via d’uscita.

 

L’altro episodio del cosiddetto cieco nato, si realizza in un contesto specifico, ai bordi di una società che lo aveva già emarginato, condannato perché cieco dalla nascita e quindi la mano di Dio si era abbattuta su di lui e lo avrebbe punito. Il passaggio di Gesù lo rende protagonista magari senza neanche che se lo aspettasse o osasse desiderare un simile esito. Gli viene chiesto che cosa posso fare per te e la sua risposta semplice “voglio vedere”. E così il dono di ritrovare la luce con gli occhi lo avrà davvero, perché gli viene offerta la possibilità di riscattare un’etichetta, un’immagine che di sé si era creata nel contesto della società che lo aveva relegato ai bordi del tempio a chiedere la carità in quanto inabile, incapace di vivere dignitosamente del suo lavoro. La guarigione del cieco nato è uno dei miracoli attribuiti a Gesù, contenuto nel solo Vangelo secondo Giovanni (9,1-41). La fonte di questo miracolo sarebbe, secondo alcuni, il cosiddetto Vangelo dei segni. Si dice spesso che la fede è cieca, la fede cristiana e invece essenzialmente un “vedere”, non si tratta di avere visioni strane, ma semplicemente di aprire gli occhi sulla realtà. La necessità di lasciare che la luce entri.
Nell’episodio dell’indemoniato, storia davvero triste e dolorosa, che vedeva un ragazzo vivere come un selvaggio a motivo della possessione diabolica che si era preso di lui la parte della volontà e lo rendeva schiavo e temuto per la sua violenza e aggressività intanto contro se stesso e poi emarginato da quella società da bene che lo considerava un pericolo, un peccatore, un maledetto da Dio. La guarigione del muto indemoniato è uno dei miracoli attribuiti a Gesù raccontato solo nel Vangelo secondo Matteo (Mt 9, 32-34). Il miracolo tende a confondersi con la guarigione del cieco e muto indemoniato, raccontato dal Vangelo secondo Matteo e dal Vangelo secondo Luca. Prendiamo anche a titolo di esempio, uno dei racconti evangelici di esorcismo più circostanziati e più affascinanti: quello dell’indemoniato di Gerasa (Marco, 5, 1-20), in cui si parla non di un solo demone, ma addirittura di una legione di demoni, i quali si erano stabiliti nel corpo di un uomo, e che ne furono cacciati con autorità e potenza da Gesù Cristo, andando a trasferirsi, con il suo permesso, in un branco di porci, da dove, infine, si precipitarono in massa nelle acque del lago di Tiberiade e vi perirono annegati, con grande costernazione degli abitanti di quel luogo. Tutti ne abbiamo sentito parlare, o lo ricordiamo dai tempi del catechismo; rileggendolo con mente razionale e perfino sospettosa, si resta ancora e sempre colpiti dal tono di verosimiglianza con cui Marco racconta un fatto che, per la mentalità moderna, appare francamente inverosimile. Già è difficile credere nel fatto della possessione diabolica, se si tratta di una sola entità; ma che un essere umano possa trovarsi posseduto da decine di demoni, da un esercito di demoni, questo supera la capacità di accettazione anche dello studioso meno succube al ricatto ideologico della modernità e più vicino alla mentalità tradizionale. È troppo, semplicemente. Ma la verità va sempre da un’altra parte, sempre!
Semplicemente per concludere: la riflessione di oggi, su fatti che sembrano a noi lontani e che possono apparire surreali e frutto dell’esaltazione della fede, mettono in evidenza che il disagio di ieri, così come quello di oggi, diventa eccezionale per la dignità silenziosa di chi lo porta. Gesù nel suo passaggio dona salvezza, luce, conforto, a chi sa di non esserne meritevole, a chi parte già svantaggiato da una condizione sociale che lo ha già visto condannato. Il bisogno di essere guariti, spinge a chiedere conferme, in qualche modo, della propria moralità, che sempre occupa lo spazio nel giudizio di chi, senza immedesimarsi in quel disagio, con tanta, forse troppa fretta e superficialità, condanna, valuta, sentenzia senza molto sapere. Non sempre però, la guarigione, è data, e questo sembra dividere le opinioni quando viene meno l’intervento divino, senza sapere, o senza considerare il fatto che si è davvero liberati, guariti, curati, quando questa condizione trova la sua giusta connotazione nella fede, non nello spettacolo del miracolo. Non è la guarigione fisica che è al centro della storia, ma la nuova luce che permette all’uomo di vedere al di là delle censure della sua educazione e della sua cultura, per comprendere sia l’assurdità della sua società, sia la grandezza della misericordia di Dio che agisce per mezzo dei “peccatori”. L’umanità, nata nella cecità per ragioni che non conosciamo, è capace di imparare a vedere e di essere mandata a dare testimonianza dell’Amore di Dio. Ma c’è un prezzo da pagare! Siamo forse ciechi anche noi, come il cieco nato? Che immagine custodiamo di Dio e di noi stessi?
Ecco alcune domande che possono mantenere alta la nostra meditazione personale che ci interroga sulla qualità del nostro credere, del nostro essere testimoni della speranza, di essere creature che vivono della fede, con il suo sinonimo principale che è la fiducia in quell’azione del Dio della vita che costantemente opera, crea, agisce, senza che noi ne siamo meritevoli. Se solo sapessimo accogliere come questi beneficati la grazia con quello spirito di semplicità, con purezza di cuore, senza nutrire o alimentare in seno alla nostra ragione pensieri di scetticismo e/o diffidenza, senza giudicare quanto non possiamo comprendere e quindi disprezzare o deriderne i contenuti, penso che saremmo tutti dei guariti, intanto dall’odio, dal pensiero critico o dalla ilarità che accompagna, spesse volte, quei dolori sordi e solitari, relegati ai margini della nostra moderna società. Abbi pietà di me, Signore, che sono un peccatore! Sarebbe il giusto punto di partenza per sperare e ricevere accoglimento di quella grazia che alle volte è solo sperata!!!

 

 

Di Consuelo Noviello

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