In questo particolare periodo, lasciamo spazio alle riflessioni della professoressa Maria Pia Cirolla,dottore in teologia della Vita Consacrata

“Comprensione dell’azione di Dio: quando la scelta resta il Cammino”
Breve esegesi del testo Atti 2,14. 36-41
Il discernimento in senso generale, è un giudizio sulla qualità delle cose, che porta a separare quelle buone da quelle cattive.
Esiste un discernimento umano, secondo la carne, fatto secondo criteri scelti dal mondo (es. il successo, la ricchezza, il potere, la bellezza)
Ed esiste un discernimento spirituale, fatto dal credente, ma generato dalla fede secondo i criteri suggeriti dallo Spirito.
Perché possa generarsi un vero discernimento nell’ottica spirituale, occorre uscire dalla prigionia della carne ed entrare nella vita secondo i dettami suggeriti dallo Spirito. Esso consiste in un atto di giudizio nella fede fatto dal credente.
Giudicare nella fede significa: giudicare da uomini spirituali, le situazioni concrete della vita personale, della vita del gruppo, per distinguere (discernere) le vie di Dio e orientare le proprie azioni verso di esse.
Il libro degli Atti ci aiuta a cogliere la particolare importanza, in cui sono presenti le situazioni del discernimento, il ruolo dello Spirito e in modo specifico in Atti 2,14. 36-41.
In questo testo l’evangelista Luca indica le conseguenze del discorso programmatico pronunziato da Pietro davanti a un pubblico giudaico nel giorno di Pentecoste (2,14-36). Dopo aver ripreso le parole con cui il narratore lo aveva introdotto (v. 14a) e la frase conclusiva (v. 36), prosegue poi con il brano in cui sono riportate la domanda dei presenti e la risposta di Pietro (vv. 37-41).
Questo brano mette in luce il processo che l’annunzio evangelico provoca in coloro che sono disponibili ad esso e non lo rifiutano a priori. Esso comporta quattro tappe: la conversione, il battesimo, il perdono dei peccati e il dono dello Spirito. In realtà più che di momenti consecutivi si tratta di aspetti diversi di un unico movimento di fede e di adesione. L’annunzio del vangelo ha infatti in se stesso la forza di far cambiare la mentalità degli ascoltatori. È questa la svolta fondamentale che si esprime nel battesimo e in una vita riconciliata e guidata dallo Spirito.

Per capire il significato della proposta di Pietro è importante ricordare che egli non è il rappresentante di una nuova religione che si affianca o si contrappone a Israele. È un israelita che annunzia ad altri israeliti il compimento delle promesse fatte ai padri. La conversione che egli propone non consiste quindi nell’abbandono della propria religione per aderire ad un’altra, ma in un ritorno, attraverso l’adesione a Gesù, alle istanze più profonde della propria fede. Anche il battesimo che Pietro propone è un gesto che si iscrive nella tradizione religiosa di Israele: esso aveva ricevuto da Giovanni il Battista una chiara connotazione escatologica; ora viene a contrassegnare l’adesione al gruppo dei discepoli di Gesù, i quali si qualificano come l’Israele escatologico, rinnovato e aperto all’opera dello Spirito. Anche se comporta l’ingresso in un gruppo specifico, la conversione è sempre un ritorno al Dio conosciuto e sperimentato nella propria religione. Anche quando, in seguito, la conversione comporterà l’adesione a una nuova religione, essa dovrà essere compresa come il ritorno a quel Dio che era stato conosciuto nella propria religione e cultura e che ora viene ri-conosciuto in modo pieno nel cristianesimo.
Ma quando io intuisco nel perseguire quelle vie dettate dalla fede il cammino poi da percorrere, quanta disponibilità poi lascio davvero in me perché tale azione si compia per davvero? Cosa impedisce dunque, in pienezza, l’agire dello Spirito in me?
Discernere quindi separando l’impulso della ragione che spinge a soluzioni sempre diverse, rinnovate, che aprono spazi che si dissociano alcune volte dalla volontà del Padre significherà aderire pienamente al disegno previsto e predisposto da realizzare.
Detta così sembra facile, quasi innocente e infantile movimento dell’agire di ogni creatura. Ma tutti, e con consapevolezza sappiamo, che è davvero tanto, troppo difficile la sua piena realizzazione. Perché?
Tante le spiegazioni, alcune convincenti, forse, altre stanno alla radice della separatezza tra volontà e ragione, corpo e anima, cuore e mente. A ben guardare questi binomi, si può capire come i propositi per ottenerne una piena riuscita in ogni essere umano, restano alquanto possibili! Per il solo e semplice fatto che sono, per alcune modalità del pensare comune, inattuabili in quanto o limitano una parte e sviluppano un’altra, o puramente, rimangono semplice utopìa. La principale difficoltà, anche alla luce del testo preso in esame del Libro degli Atti, resta sempre e solo una: la personale incapacità ad agire, pur desiderandolo, compiendo il bene che voglio e non il male che non voglio!
“Se in mezzo alle avversità il cuore persevera con serenità, gioia e pace, questo è l’amore” scriveva una nota santa spagnola S. Teresa d’Avila ed ancora sempre dalla sua alta spiritualità suggeriva “Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande. Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde”.
Amore qui vuol dire semplicemente una ed una sola azione, principalmente: Fiducia! Se io amo per davvero, nel senso tipicamente umano, mi fido ciecamente della persona cui rivolgo il mio amore. Sono sicura, sono sicuro, che mai mi tradirà. Ecco così che l’amore cui si desidera far rifermento in questo senso, è un amore che non conosce la fragilità del suo significato primo, che invece è contenuto nell’Amore dell’Eterno, e che è principalmente donativo, totale e assoluto, fedele sempre.
Davanti a queste garanzie, nessuno può temere di venir deluso, umiliato, tradito, e così il cammino resta sicuro, solido, insostituibile.
Là dove queste certezze lasciano scivolare il seme del dubbio, dell’incapacità di comprendere la vera essenza di ciò che significa qui relazione, si lascia sfuggire la possibilità di vivere in empatìa tra ciò che è indicazione di un percorso e il desiderio e la determinazione nel compierlo.
Come abbiamo avuto modo di descrivere in altri contesti, e anche qui lo ribadiamo, l’idea comune diffusa che si possiede della Sapiente azione del Creatore, spesso viene svilita da una sorta di sfiducia e cade in una idea di una relazione sterile con Colui verso il quale, invece, dovremmo averla privilegiata.
Coloro che si convertono devono salvarsi da «questa generazione perversa». La conversione presuppone dunque un distacco non tanto dalla società in cui si vive, quanto piuttosto dalle strutture ingiuste che tante volte la condizionano. L’adesione a Cristo deve incidere non solo sulla mentalità, ma anche sul modo di vivere della persona. Ciò implica la capacità di stabilire rapporti nuovi con tutti, improntati alla ricerca della giustizia e del bene comune. Se l’adesione a Cristo e alla chiesa non implica una scelta di vita alternativa, si dimostra inutile e dannosa per l’individuo e la società. Buon Cammino verso la Luce della Pasqua!”.

 

Di Consuelo Noviello

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