“Davanti a Lui non ci si può che coprire la faccia, per il tanto dolore che ha sfigurato il Suo Volto!!!” 
Dalle sue piaghe, noi tutti, ne abbiamo beneficato

Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevano alcuna stima (Cfr., Is 53, 3). Queste parole contenute nella cosiddetta Profezia di Isaia nell’A.T., vogliono essere un aiuto alla lettura del Volto del Signore così come appariva a seguito della Sua dolorosa Passione. Quest’uomo, vero uomo e vero Dio, è l’Adonai di Israele, l’atteso da tutte le generazioni di tutti i secoli. Così era il suo Volto al momento della sepoltura: un volto così sfigurato che non si riusciva a guardarlo e ci si copriva la faccia dal ribrezzo. È come se il suo sangue, al pari di ciò che avviene con la luce nella camera oscura, avesse fotograficamente impressionato nella tomba quella carta vergine che a noi è giunta nella Sacra Sindone. E ancora oggi il suo sangue è luce e speranza delle genti! Per l’uomo tecnologico degli anni 2000 c’è un messaggio esclusivo, quello che si può cogliere tramite l’analisi dei fatti che oggi sono celebrati nel ricordo della Passione del Signore Gesù. Ma Dio non ricambia con pari moneta, non agisce da Padre severo e giustiziere, ma da Padre amorevole e da Giudice Giusto e Saggio, e, proprio attraverso determinati esempi o segni, vuole farsi ritrovare dalla creatura. Il Venerdì Santo è il giorno, come ben sappiamo in cui la Chiesa, i cristiani sparsi nel mondo, si stringono attorno al Maestro sofferente e che dalla Croce lancia un messaggio molto chiaro e preciso su quello che è il significato dell’amore, del dono di sé ad altri: fino alla fine, amare in ogni senso e al di là di ogni riserva personale. Diverse le scene che ci sono offerte di una giornata davvero particolare con fasi di sentimenti altalenanti, che vanno dall’ironia, dallo scherno, all’umiliazione, al senso di disprezzo, alla straziante costatazione di una solitudine senza eguali, senza conforto neanche nell’ultimo istante quando “nell’ho sete” pronunciato da labbra sfinite dal dolore, la risposta sarà quella di porgere una spugna imbevuta nell’aceto anziché un sorso d’acqua che avrebbe potuto sollevare l’arsura e la disperazione dopo tanta agonia, dopo tanto odio gratuito inferto con superficialità e possiamo anche dire, con una certa compiacenza, per vedere fino a che punto, il Giusto, il Santo, il Salvatore, si sarebbe mantenuto saldo nei suoi propositi di amore. Il drammatico supplizio della croce ha spesso indotto i predicatori del passato a insistere in modo eccessivo sugli aspetti cruenti della passione di Gesù. Da questa predicazione sono derivate immagini, rappresentazioni popolari e alcune devozioni in cui si esasperava la violenza dei colpi della flagellazione, le cadute sotto il peso della croce, il sadismo dei soldati.
Questo tipo di approccio ai testi evangelici non ha reso un buon servizio alla comprensione degli avvenimenti della Pasqua, anzi, ne ha offuscato il significato. I vangeli si muovono in tutt’altra prospettiva. Sono molto sobri nel raccontare gli orrendi tormenti inflitti a Gesù. Il loro obbiettivo non è impressionare o commuovere i lettori, ma far comprendere l’immensità dell’amore di Dio che si è rivelato in Cristo. Non si attardano sulle sofferenze perché la passione che presentano non è quella del patire, ma la passione d’amore. Vogliono mostrarci che: “Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo” (Cfr., Ct 8,6-7) come viene pronunciato nel Libro del Cantico dei Cantici. Quindi una sofferenza che genererà vita, un dolore che produrrà frutti, una capacità di amore che offre la possibilità di rinascere di nuovo, di rifiorire sempre, di scoprirsi capaci di fare quel salto nel vuoto per essere riempiti, non nel calcolo del possibilismo, ma nella certezza che Chi è Colui che mi aspetta è Colui che già mi ha salvata, e a prezzo del suo sangue.
Cercare una chiave di lettura di questi fatti alla luce della Scrittura è possibile, cercare di dare ragione ad un simile comportamento, nei tempi che viviamo impossibile! Tutto parla di individualismo, tutto conduce al bene supremo, certe volte è rifiutata l’immagine del dolore, della sofferenza e si propinano elisir di lunga vita, di giovinezza perenne! Mete di felicità che diano senso ad un’esistenza da spendersi solo se, ciò che faccio mi porta ad essere felice. Quanti, ci si chiede, sarebbero oggi disposti ad offrire la propria vita per la salvezza di qualcuno che si ama? Chi tace dinnanzi ad un’ingiustizia che genera morte o dolore dell’anima? Chi sarebbe capace di vincere le suggestioni del male e vivere da “agnello mansueto”, “lasciandosi tosare come pecora muta”? Il Venerdì Santo è il volto della compassione, non della commiserazione, è il volto della dolcezza, non dell’amore idiota e becero, è il volto della Grazia che si dona perché vuole donarsi, perché l’Amore quando è autentico, incondizionato, sembra agli occhi dei più, stolto, sciocco, che cosa ne ricaverai in cambio? L’immagine con cui desideriamo concludere questa meditazione è una delle immagini più belle che possano esserci nella scena dove il dolore, la sofferenza, la mancanza di rispetto, regnano sovrani come azioni inflitte: ci stiamo riferendo a Maria, la Madre di Gesù.
Ogni anno al compiersi di questo giorno, ci siamo chiesti più volte che cosa potesse passare nel cuore di questa Madre Misericordiosa, Donna del patire, che accompagna questo Figlio nelle varie tappe della Sua vita terrena, fino al vederselo riconsegnare corpo senza vita tra le braccia dopo la Crocifissione. Quanta pena, quanta tristezza, quanto dolore, quanta incapacità di dire, di fare anche il solo minimo passo a chiederLe: “Perdono, O Madre Mia, per tanta cattiveria, per tanto cieco egoismo!”. Eppure la scena del Venerdì Santo si chiude con Lei, che da Madre, “stava” !!! Era lì, ai piedi della Croce e guardava Colui che aveva portato in grembo, Colui al quale aveva dato il suo latte, quel bimbo che sarà caduto tante volte, sbucciandosi le ginocchia, che correva da Lei per farsi consolare, per avere coraggio e riprendere la corsa, come fanno tutti i bambini. Che tenerezza, che infinita sensazione di vergogna si dovrebbe provare, simile a quella che si dovrebbe provare quando si deturpa l’anima con le azioni inflitte verso i più fragili, i più incapaci a difendersi, i più lontani da lotte per dominare la scena di questo mondo. Maria “sta” anche oggi accanto a questo Figlio, accanto a noi Suoi figli ereditati per mezzo del sangue versato sulla Croce.
Mentre i più si sentono furbi, capaci di dominare la sensazione di appartenenza ad una fede che viene definita come incapace di offrire la felicità, l’autorealizzazione di sé, i pochi si fermano a guardare questi volti, ad ascoltare in silenzio questo urlo di dolore che libera e che sana. Davanti a questo dovremmo essere sollecitati a una pronta risposta e spingerci non solo a cambiare mentalità, ma ad avere la dignità di cambiare vita, di cambiare pensiero, di sollevare le mani solo per restare strumento di bene non generando mai più azioni di morte!

( immagini dal web)

Di Consuelo Noviello

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