“Ave Crux, Spes Unica!”

di  Maria Pia Cirolla

Con la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre, si apre un tempo spiritualmente considerato forte sia per la vita consacrata che per la vita dei fedeli in generale. Questa festa, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega alla dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul Sepolcro di Cristo e in ricordo del ritrovamento della Croce di Gesù da parte di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, avvenuto, secondo la tradizione, il 14 settembre del 320.

È una festa antica e densa di significati, quella dell’Esaltazione della Croce, in cui la Chiesa rende grazie al sacrificio estremo di Gesù che morendo su di essa ha salvato tutti noi.
Non c’è definizione migliore di questa: la Croce, secondo la nostra fede, è luogo di vittoria: vittoria sulla morte attraverso la Resurrezione, vittoria sulla finitudine e la limitatezza delle creature, ma soprattutto vittoria sul peccato. Ci troviamo al centro della storia della salvezza, davanti al simbolo della redenzione dell’uomo resa possibile solo dalla morte del Figlio. Tanta strada è stata fatta da quel primo albero sotto al quale Adamo tradì Dio gettando la sua stirpe – e tutti noi – nel buio, nell’incertezza, nell’abisso del peccato.
Sulla Croce e attraverso la Croce l’albero della vita torna a fiorire e costituisce una specie di chiave per riaprire la porta del paradiso perduto. La Croce, dunque, perde la sua connotazione di luogo di condanna, ma diventa luogo di conversione, come per il ladrone che patisce accanto a Gesù. La sua luce irradia tutti coloro che la toccano: sia fisicamente, come Maria e Giovanni che stanno lì ai suoi piedi perché tutto si compia, ma anche con la preghiera e la devozione, cioè tutti noi salvati dal Signore che sceglie di farsi uccidere come il peggiore dei delinquenti.
Ma quello che desideriamo offrire con la meditazione sul senso della “croce”, oggi, è una pausa per comprendere insieme ciò che appartiene alla tradizione della nostra fede. Un patrimonio che passa non solo da semplici e innocenti verità, ma da ciò che viene considerato scandalo ma che è allo stesso tempo speranza: la croce. Come possiamo, tradotto in maniera semplicistica ma non superficiale, chiamare salvezza qualcosa che invece è generatrice di morte fisica? Come è possibile, addirittura, esaltare il valore di questo strumento di condanna che ha visto spegnersi sulle braccia del legno, l’Unico Giusto che viene trattato di contro come un malfattore?

Ci concentreremo su due brevi riflessioni: la prima vuole essere ad alta voce una vera provocazione; la seconda una piccolissima riflessione di una delle mistiche che maggiormente si è preoccupata di sviluppare la “Scientia Crucis”, ovvero sto parlando della grande Santa, Patrona d’Europa, Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein.
Partendo per ordine, la provocazione cui facevo menzione, riguarda l’appellativo abbinato al titolo del nostro articolo che altro non è che una invocazione nota nella vita mistica e di preghiera. Ave Crux, Spes Unica! Ti Saluto Croce Santa, Unica Speranza! Letta solo così, solletica numerose perplessità se non addirittura scalpore! Come può una realtà che è considerata “croce”, dolore, sofferenza e morte, venir definita “nostra speranza”?. Alcune volte la indichiamo, anche tra pii e fedeli credenti, come una vera condanna. Si sa che quando le cose nella vita vanno bene, è facile lodare, pregare, rendere grazie, sorridere, amare, credere e sperare! Ma quando la prova diventa deserto, quando la vita rimane, o sembra esserlo, sterile; quando le cose che non avremmo mai voluto vivere viviamo, quando tutto ciò in cui credevamo ci delude, ci tradisce l’amore creduto fedele, o situazioni di sofferenza maggiori, ognuno può sapere quali, tutto questo scenario di apertura diventa condanna, diventa perplessità, diventa miscredenza, diventa ateismo, in certi casi diventa morte del cuore. La speranza Unica qui, non è terminologica, quanto indicativa di una Persona: Cristo Signore.
Senza questa speranza già conquistata a motivo della Sua dolorosa Passione, della Sua Morte sul legno della Croce, questa speranza sarebbe rimasta vuoto, voragine, condanna perenne. Il Giusto che muore come un condannato per gli ingiusti; il Sapiente che si lascia trattare da stolto! Il Solo che è emblema di Bontà assoluta, subisce la più grande delle ingiustizie, lasciandosi uccidere, umiliare e condannare. Ecco l’esempio più sublime di Amore Assoluto che ci viene offerto, da qui la Nostra Unica Spes, Speranza. Se Cristo non ci avesse salvati così dalla nostra cecità, dalle nostre durezze di cuore, dalle nostre indifferenze, poiché tutti lo siamo indifferenti ai bisogni dei fratelli più fragili e bisognosi, ci siamo chiesti quale piega avrebbe potuto intraprendere la storia della salvezza?

La nostra provocazione qui si ferma e, con essa, sale il silenzio, non per mancanza di parola, quanto per l’immeritato dono che abbiamo tutti ricevuto e di cui ne godiamo i benefici. Pensando poi al secondo e ultimo punto ci permettiamo di concludere con alcune frasi che rappresentano una meravigliosa sintesi di amore, di passione espressa quale atto di gratitudine per il dono della Croce che ha visto non il traguardo della fine ma che ha segnato il fine della salvezza del mondo. Queste parole sono state scritte, pensate e vissute dalla grande mistica Teresa Benedetta della Croce, carmelitana scalza al secolo Edith Stein Filosofa ebrea, Convertita al cristianesimo, Martire, morta in un campo di concentramento offrendo la sua vita per il suo popolo.
“Da esso (invito a seguirlo!) si sprigiona un silenzioso richiamo alla vita a una risposta! Gli inviti a seguirlo sulla via crucis della vita ci danno in mano l’adeguata risposta. Infatti la morte di croce è il mezzo di redenzione prescelto dall’insondabile sapienza di Dio. La forza redentiva: è il potere di risvegliare alla vita coloro nei quali la vita divina era stata uccisa dal peccato. Tale energia redentiva della croce è implicita nel Verbo della Croce, ma attraverso questa parola investe tutti coloro che l’accolgono aprendosi alla sua azione, senza esigere né miracoli né ragionamenti di sapienza umana; in loro si trasforma in energia radiante vitale e formativa! La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa richiamo verso l’alto. Quindi non è soltanto un’insegna , è anche l’arma potente di Cristo, la verga del pastore con cui il Davide esce contro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Infine, e forse per noi in modo quasi incomprensibile, Edith vede la Croce come “ l’unione nuziale dell’anima con Dio, fine ultimo per il quale è stata creata; unione che si ottiene con la croce, si consuma sulla croce e verrà sigillata con la croce per tutta l’eternità, una unione e una trasformazione dell’anima attraverso l’amore, prendere la propria croce è abbandonarsi alla crocifissione!”(cfr,Edith Stein “Scientia Crucis”)
Un augurio per tutti noi alla fine: “Dall’interiorità più profonda si irradia l’essenza, esce involontariamente da sé. Quanto più l’uomo vive raccolto nell’interiorità più profonda dell’anima, tanto più forte è l’irradiazione che parte da lui e attira altri nella sua scia” (Cfr,Edith Stein “Sui sentieri della verità”)

Di Consuelo Noviello

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