Quaresima e deserto
tentazione

Quando l’anima ha paura di ritrovarsi da sola, comprende che il viaggio non può essere fatto senza avere accanto una presenza che riempie quel dissacrante vuoto dell’esistenza in affanno.

Il vero cambiamento parte da un’azione tanto semplice quanto sottovalutata: ascoltare. Nella cultura del trambusto e del suono costante, ricordarsi di sentire è una sfida che, se vinta, offre inestimabili ricompense: più impariamo ad ascoltare, più la nostra attenzione aumenta, più il nostro lato intuitivo si potenzia, più la chiarezza si fa largo nel caos della nostra mente. L’ascolto può creare connessioni e accendere una creatività profonda, che si declina in ogni aspetto della nostra vita. Anche quest’anno con il Mercoledì delle Ceneri arriva il Tempo liturgicamente “forte” che conosciamo bene, la “Quaresima”, questi 40 giorni che separeranno dall’evento centrale di tutta la vita di coloro che si professano cristiani, la Pasqua di Risurrezione. Il deserto è luogo di purificazione, di solitudine, di assenza di caos, dove però si può

Quaresima e digiuno

incorrere in pericoli enormi, senza punti di riferimento, senza conforto, senza compagnia ad alleggerire la fatica o il timore; il deserto è anche il luogo delle ribellioni a Dio, delle mormorazioni, delle contestazioni. Ricordiamo il popolo di Israele che vagando per 40 anni nel deserto verso la Terra “dove scorre latte e miele”, sono stati in pellegrinaggio a purificare la genìa dei ribelli che osò sfidare Jahvè, con varie prostituzioni, tradimenti e malcontenti da sedare. Anche Gesù, il Messia, vivrà il deserto come luogo di purificazione e di tentazioni cui si sottopone, essenziale però al suo ministero: il faccia a faccia con il potere dell’illusione satanica e con il fascino della tentazione svelerà in Gesù un cuore attaccato alla nuda Parola di Dio. Fortificato dalla lotta nel deserto Gesù può intraprendere il suo ministero pubblico. Il deserto appare anche come tempo intermedio: non ci si installa nel deserto, ma si attraversa il deserto. Quaranta anni, quaranta giorni: è il tempo del deserto per tutto Israele, ma anche per Mosè, per Elia, per Gesù. Tempo che può essere vissuto solo imparando la pazienza, l’attesa, la perseveranza, accettando il caro prezzo della speranza. E forse, l’immensità del tempo del deserto è già esperienza e pregustazione di eternità. Ma il deserto è anche cammino: nel deserto occorre avanzare, non è consentito “disertare”, ma la tentazione è la regressione, la paura che spinge a tornare indietro, a preferire la sicurezza della schiavitù egiziana al rischio dell’avventura della libertà. Una libertà che non è situata al termine del cammino, ma che si vive nel cammino. Ma per compiere questo cammino occorre essere leggeri, con pochi bagagli: il deserto insegna l’essenzialità, è apprendistato di sottrazione e di spogliazione. Il deserto è magistero di fede: aguzza lo sguardo interiore e fa dell’uomo un vigilante, un uomo dall’occhio penetrante.

L’uomo del deserto può così riconoscere la presenza di Dio e denunciare l’idolatria. Quante piccole grandi promesse si compiono in questo tempo, con la speranza di riuscire a dare un senso profondo, un valore alle azioni di rinuncia che si intendono fare. Tra le varie ritualità proposte che servono a rafforzare ed irrobustire lo spirito, anziché piacere a Dio, vi è il “digiuno”. Fin dall’antichità, dai Padri della Chiesa, agli eremiti, a quanti hanno cercato di comprendere la via per la purificazione e il rafforzamento della volontà e della determinazione, hanno sempre proposto tra le opere più incisive il digiuno e la preghiera. Del digiuno si può dire che: c’è chi lo fa per disintossicarsi, chi per allenarsi ad avere più forza di volontà, chi per curarsi…e chi per pregare meglio. Se nelle prime tre motivazioni ho sempre visto una certa logica, nell’ultima ho fatto una gran fatica a trovarla. Sarà che io ho incontrato grandi difficoltà nel praticarlo. Sarà che mi sono sempre riaggiustata la cosa, appellandomi al fatto che non esiste solo il classico digiuno dal cibo ma anche altri tipi di astinenze (dalla televisione, dai pettegolezzi, dalle gelosie, dagli apprezzamenti inutili e superficiali, dal giudizio senza consapevolezza di sé, dall’indifferenza, dal coltivare odi e rancori, ecc.). Fatto sta che il digiuno l’ho sempre messo da una parte. Ma poi Gesù me lo rimetteva al centro, punzecchiandomi con frasi decisamente chiare. Avete presente, per esempio, l’episodio in cui lui, tornato a valle dopo la Trasfigurazione, libera un indemoniato perché i suoi discepoli non vi erano riusciti? Ma che segreto c’è dietro il digiuno, se anche Gesù lo ha fatto per quaranta giorni, se i santi lo hanno imitato alla grande, se i battezzati dei primi due secoli, prima del sacramento, si preparavano con un digiuno, riconoscendovi un elemento dell’esorcismo pre – battesimale e se anche i fedeli delle altre religioni lo hanno sempre praticato? Ma perché satana è così indebolito, quando digiuniamo? Forse quando offriamo a Dio qualcosa che tocca il nostro corpo, si può dire che ci offriamo veramente. È più facile, infatti, dare dei soldi, del tempo o una buona parola. Il digiuno crea, in un certo senso, un vuoto, uno spazio (nella nostra anima, nel nostro corpo, nel nostro cuore) che Dio occuperà come mai aveva fatto prima. Forse proprio per questo coloro che digiunano hanno una particolare finezza e sensibilità spirituale. Oggi la pratica del digiuno è guardata con un certo sospetto dal nostro mondo incapace di rinunce, ma proprio per questo voglio cercare di scoprirne la ragione ultima. Intanto il digiuno, in tutte le religioni, ha un valore di rimando all’essenziale. Ma qual è il digiuno gradito a Dio? quello veramente efficace per la mia vita spirituale? “Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,16-18). Ma poi? Che accade poi? Quando alcune volte in modo leggero ci lasciamo trasportare dal senso di doverosa osservanza, e tralasciamo l’umano? Cosa accadrà poi terminata la pausa delle “buone azioni” compiute per rappacificare, per ottenere, per risvegliare quanto è addormentato o sordo che giace nel centro della nostra anima e che non vuole ascoltare fino in profondità, fino al punto di costituire un vero cambiamento di cuore e di mentalità? Succede che si ritorna alla normalità, al senso di indifferenza, al sorriso negato, alla mano non tesa, al bacio non dato, alla carezza non fatta, all’ascolto negato del cuore sofferente, all’ingiustizia inflitta, all’incapacità di cambiamento autentico, fino all’ipocrisia. Potrebbe sembrare, ma non lo è, una visione alquanto incoraggiante del tempo di grazia che attende di essere vissuto da moltissimi credenti. Possa questo tempo far rifiorire la speranza, rendere umano davvero il sentimento della Carità compassionevole, per evitare che i piccoli, giunti a Dio possano gridargli il dolore loro inflitto ingiustamente, in ogni direzione e in ogni senso.

luce e risurrezione

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa