di Maria Pia Cirolla


Quando viene offerta una possibilità di essere illuminati dall’interno, la vita, lo spirito, il cuore, esplodono in quel canto di gioia e di ringraziamento, torna così la pace.
Da Natale fino alla metà di febbraio, diverse festività sono dedicate alla celebrazione del progressivo allungamento della durata del giorno, dopo il Solstizio d’Inverno. Il Sole, di giorno in giorno, si alza progressivamente all’orizzonte. Fino dal Neolitico, le culture, e poi le civiltà agricole, ebbero la necessità di conoscere con precisione i punti di levata e tramonto del Sole, le costellazioni che annunciavano gli equinozi e i solstizi, dedicando culti e monumenti alla varie divinità solari cui consacrare, con specifici riti, quali ad esempio della fecondità vegetale e animale. Il culmine della stagione fredda si registra nel mese di febbraio quando, fin dai tempi antichi, si diffondevano le varie febbri invernali. In tale contesto la festività cristiana della Candelora (2 febbraio), che celebra la presentazione al Tempio di Gesù (cfr., Luca 2,22-39), ereditò riti millenari, che a Roma Antica coincidevano con le purificazioni di febbraio (da februa, bende rituali di purificazione) e i Lupercalia, dedicati al dio Fauno, e alla leggenda della Lupa e dei gemelli fondatori della città. Le fiaccolate rituali simboleggiavano il ritorno progressivo della luce, la fine dell’inverno, l’approssimarsi del nuovo anno, che nella Roma repubblicana avveniva a marzo. Diverse particolarità dei riti rinviano all’egiziana dea Iside-Sothis e a feste ebraiche (cfr., Lev 12, 2-4). Testimonianze archeologiche e la letteratura classica (per esempio Ovidio, Properzio, Plutarco) confermano l’antichità delle simbologie che costituiscono le Feste della luce, “Ex Oriente Lux”. La saggezza popolare ci ha tramandato molti detti e racconti su questa festa dalle origini antiche, celebrata in passato con entusiasmo e passione dalle popolazioni di tutta Europa, oggi viene ricordata per essere la festa della benedizione delle candele, in ricordo della presentazione di Gesù al Tempio. La candelora è un momento di passaggio importante, dal significato profondo che ci accompagna alla scoperta del ciclo delle stagioni, una celebrazione di rinascita e di luce. Molti sono i piccoli rituali che ancora oggi si compiono nelle culture occidentali legati al tema della prima manifestazione della primavera che presto arriverà, portando con sé prosperità, salute, luce e speranza. Il primo rituale ovviamente è quello della benedizione e dell’accensione delle candele, solitamente di colore bianco o giallo a simboleggiare la luce che viene celebrata in questi giorni. Nei paesi nordici viene fatta a mano la croce di Brigid dea della luce, secondo alcuni la croce rappresenta la ruota dell’anno. Ma perché si chiama così? Qualche nota ancora storica. Ricorrenza cristiana conosciuta anche come Purificazione di Maria, la Candelora giunge 40 giorni dopo il Natale ovvero quando, secondo la tradizione ebraica, le donne che avevano partorito dovevano recarsi al Tempio di Gerusalemme per purificarsi. Nel Vangelo, Gesù, un volta arrivato al Tempio in braccio alla Madre, venne accolto dal Vecchio Simeone che lo definì “luce per illuminare le genti”. Da quel momento il 2 febbraio vengono benedette e distribuite le candele che, una volta accese, simboleggiano quella luce. Sono quelle stesse candele a essere utilizzate anche nel giorno successivo, Festa di San Biagio, per la benedizione della gola. Ricordiamo che secondo la tradizione è proprio la Candelora a porre fine al periodo di Natale. Per questo motivo una tradizione (anche se a dire il vero, certe volte sembra passare sottotono) vuole che si aspetti il 2 febbraio per togliere dalle case il Presepe e gli addobbi di Natale. Detto ciò, ma qual è quindi il valore spirituale di questa Festa? C’è un’implicanza biblica molto importante nel gesto della Madre di Dio di raggiungere il Tempio per la purificazione e nel gesto della famiglia di Nazareth di far circoncidere il Figlio, ed è essenzialmente questo: Gesù, Giuseppe e Maria obbediscono alle leggi della religione ebraica. Per la legge mosaica una donna che partoriva doveva sottoporsi, quaranta giorni dopo, al rito della purificazione perché il sangue era considerato materia impura e il bambino, allo stesso tempo, doveva essere presentato al Tempio per essere circonciso. L‘evento dell’Incarnazione, ad esempio, come tutto il Cristianesimo, accade all’interno di coordinate storiche ben precise e il Figlio di Dio e i suoi genitori non sono persone che saltano la fila, non vogliono essere l’eccezione alla regola, ma si mettono dentro le dinamiche umane, dentro le tradizioni. Maria, attraverso Simeone, riceve una profezia sulla vita del Figlio e sulla sua stessa vita. La frase in questione, più che svelarci anzitempo come andrà a finire la storia, ci rivela la dinamica dell’amore. Quando tu decidi nella tua vita di amare profondamente qualcuno, ti esponi alla sofferenza. Quella spada che trafigge l’anima indica proprio questo: tutte le volte che amiamo diventiamo vulnerabili. Ecco perché il mondo ci suggerisce di fare tutto da soli, ci convince che non conviene amare, perché non si è riconciliato con la debolezza. Maria ci insegna al contrario che la potenza di Dio agisce proprio nella vulnerabilità dell’amore. In fondo, quando noi diventiamo vulnerabili a causa dell’amore, è lì, proprio lì, che agisce la potenza di Dio. Alla luce di tutto questo allora, Maria compie un gesto, quello della purificazione, che non è solo tradizionale, ma rivelativo. La logica del Vangelo, in fondo, è la logica di un Amore che è disposto a coinvolgerci, a farci diventare protagonisti anche a partire dalle nostre fragilità umane. Simeone è l’uomo dell’attesa. E potremmo dire che è più giovane di quel che appare. Si è vecchi, infatti, solo quando non ci si aspetta più nulla. Lui, al contrario, fino alla fine dei suoi anni, è alla ricerca del senso della vita. Questo rende Simeone infinitamente più giovane di alcuni nostri giovani che non si aspettano più nulla e sono divorati dalla noia. Anna, invece, è colei che trasforma le contraddizioni della vita, gli episodi tragici come la mancanza di un amore perso in gioventù, in fecondità. Il dolore non l’ha incattivita, al contrario, ha fatto del dolore un servizio. Anna ci mostra come dalla sofferenza, da una storia difficile, si possa tirar fuori qualcosa di buono. Tutti noi facciamo esperienza di questo. Talvolta corriamo il rischio di abituarci alle grazie che riceviamo. Allora abbiamo bisogno di qualcuno che provi meraviglia, come Anna e Simeone, per ritrovare anche noi di riflesso quella gioia che la fatica di ogni giorno probabilmente offusca. Ma c’è anche un’altra ragione che innesca la meraviglia di Maria e Giuseppe: stringono in braccio Gesù, un bambino, che come tutti i bambini, è un mistero. La meraviglia viene dal fatto che si trovano davanti a una fonte inesauribile, che giorno dopo giorno si svela ai loro occhi manifestando la sua unicità. E da questa unicità si lasciano stupire. Spesso tante famiglie non si stupiscono più perché semplicemente tendono a fare dei figli delle loro fotocopie. Pretendono che la vita che hanno messo al mondo prenda le loro sembianze oltre che fisiche, anche caratteriali, comportamentali. Maria e Giuseppe sono consapevoli che loro Figlio è prima di tutto di Dio e si lasciano sorprendere da questo mistero che giorno dopo giorno cresce insieme a loro. Possa questa “Luce” rinnovare in profondità le nostre vite, curare quelle ferite purulenti dell’indifferenza, della superbia, della incapacità di apertura all’altro diverso da me, dell’impossibilità umana del perdonare un torto ingiustamente ricevuto. Sia davvero preludio e fonte di una vera rinascita, ma dal di dentro, non di facciata a coprire infermità dell’anima avvolta da falso sorriso e falsa capacità di amore, ma una capacità semplice come quella dei due personaggi chiave di questa festività, di Anna e di Simeone che hanno atteso, sperato, hanno creduto, hanno sofferto, ma non ne sono rimasti schiacciati, e la liberazione è giunta, così come la luce si è manifestata ai loro occhi e nei loro cuori.

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