Avvento: Attesa della speranza o tradizione ormai in disuso?
di Maria Pia Cirolla
Dopo l’ultima pseudo innovativa e anti discriminante proposta della Commissione europea riguardante i nomi religiosi e cristiani, in un documento interno della Commissione stessa, si stabilisce che è meglio vietare riferimenti religiosi o nomi religiosi nelle comunicazioni ufficiali. Ne ha parlato il quotidiano Il Giornale e il caso è stato ripreso da Carlo Fidanza sui social. Dopo solo poche ore il testo viene ritirato e ci si propone di riscriverlo! Così afferma la Commissaria Helena Dalli: “L’obiettivo era illustrare la diversità della cultura europea ma non abbiamo raggiunto lo scopo. Ora riscriveremo il documento”. Con questi sentimenti entriamo nel vivo del Tempo liturgico che chiamiamo liturgicamente Avvento.
Questo tempo dovrebbe trainare l’umanità, disorientata e incerta, alla festività più importante per i cristiani del mondo che è rappresentata dall’Incarnazione del Verbo nel suo Natale.
Il significato teologico e/o spirituale dell’Avvento è incentrato sul suo significato primo, ovvero “attesa”. Il motivo dell’attesa è radicato poi, a sua volta, nella promessa antica celebrata da generazioni, che una Stella avrebbe condotto il popolo, ormai sbandato, stanco, senza méta, senza neanche più entusiasmo, in quel luogo dove si sarebbe vista la Luce venire ad illuminare le tenebre del mondo. L’attesa di un salvatore, di un Messia che sarebbe stato la forza riparatrice ed avrebbe fatto germogliare il fiore nella steppa, e il deserto si sarebbe trasformato in terreno fertile. Nel primo gesto che include questa attesa, possiamo dire che attendere è tempo di pazienza. Pazienza nel tenere a freno la nostra sete di giustizia, di vita, di senso. Pazienza verso noi stessi nel nostro cammino talora arduo e difficile verso Dio.
Scriveva il cardinal Martini in una meditazione di qualche anno fa:
“La conoscenza di Dio è un cammino in cui l’uomo ascende verso la sua autenticità e ascendendo verso di essa riconosce la presenza di Dio.”
E ancora: “Noi diventiamo veri ricercatori di Dio cercando la Sua volontà, cercandola in questa Chiesa, in questo mondo, in questa società, in queste situazioni difficili, crescendo nel dialogo, nella pazienza, nella sopportazione, nell’ascolto”.
Un’occasione formidabile, che si presenta instancabilmente ogni anno, che ci invita a ricordare che viviamo nell’attesa di un ritorno, quello del Signore. Spesso ce ne dimentichiamo e la nostra attenzione è presa da altre, insignificanti attese e ci distraiamo dalla potenza del gesto, è come se l’Avvento venisse per allenarci a tenere desta la nostra attenzione. Tutto, anche la liturgia, ci ripete: “Guarda che tu sei qui per questo: per attendere Lui”. L’intensità dell’aspettativa troverà poi il suo culmine nel Natale quando il Signore ci conferma che, essendo già stato tra noi, nelle nostre case, nei nostri vestiti, sotto il nostro cielo, prima o poi ritornerà.
La Chiesa, con questo tempo, ci mette davanti alle debolezze quotidiane: non è forse vero che l’attesa, oggi, in un mondo che cammina al contrario, è un ritmo che infastidisce molto? Avvertiamo all’istante una reazione di insofferenza. Noi, con tutti gli impegni che abbiamo, noi, così capaci di non stare mai fermi, di fare mille cose in una giornata, di esprimere un giudizio su tutto, perché e chi dovremmo attendere? Diciamo di voler vivere lontano dagli affanni, ma se ci tolgono l’affanno, ci sentiamo persi. Il tempo senza qualcosa da portare a termine ci appare un tempo vuoto, dunque, inutile. La pandemia ce lo ha insegnato e ha svelato bene la singolarità o la contraddizione presente in certi comportamenti. Quando eravamo costretti a casa, con meno appuntamenti, nessun orario, poche scadenze, ci mancava qualcosa. Abbiamo sentito il vuoto attorno e dentro di noi. E non siamo stati capaci di riempire quel vuoto con qualcosa di concreto, con la presenza di Qualcuno: Lui. L’attesa è la capacità di essere pazienti. La pazienza è dei vecchi, si sostiene, abita ai margini di una vita brillante e seducente che abbiamo preso quale modello. Sei vincente se hai tutto subito: è la logica della nuova comunicazione, dei social, di chi plana sulla realtà e si è stancato di andare a fondo. Imparare l’attesa è salutare. Fa cambiare la metrica all’esistenza. Ci fa ascoltare tutta un’altra musica. Infine, ci fa diventare più belli perché quando ci disponiamo ad attendere qualcuno d’importante, scegliamo l’abito più elegante, ci pettiniamo, ci profumiamo, proprio come la sposa fa per il suo sposo. Cerchiamo di predisporre il nostro animo, il nostro spirito non solo profumando l’esterno ma cercando di creare nella grotta del cuore, così colma di sterpaglie e buio, il luogo della dimora ripulita per accogliere la regalità che si inchina verso l’umanità ferita, che non sa aspettare, non sa accogliere, non sa alcune volte domandare, ma che ha un disperato bisogno di ritrovare la luce della Stella che conduce alla salvezza.