Celebrare la nascita di Maria è commemorare le meraviglie di Dio nella vita di Gioacchino e Anna, genitori in tarda età. È fare memoria di una gestazione umanamente impossibile: Anna era sterile. Ed è, soprattutto, festeggiare il grande miracolo della nascita di Maria, madre di Gesù e nostra.

L’ 8 settembre, la Chiesa ricorda un grande evento per la salvezza che dell’umanità, ovvero la Natività della Beata Vergine Maria. Festeggiare il giorno in cui si è giunti alla vita, significa molte cose. Dice della gioia della famiglia che vive il frutto dell’amore, significa il proseguo delle radici di una famiglia, di un nome che proseguirà nel tempo la discendenza. Significa molte cose. La nascita di Maria è privilegio e diffusione di benedizioni e grazie. Si tratta di una delle più antiche feste mariane. Si pensa che la sua origine sia collegata nella festa della dedicazione di una chiesa intitolata a Maria, a Gerusalemme, nel IV secolo: si tratta della basilica di sant’Anna, dove la tradizione dice che si trattava della casa dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna, dove qui nacque la Vergine. La festa è bella nella sua profondità e semplicità. Perché facciamo memoria grata del miracolo di una nascita. È sempre così, del resto: ogni nascita è sempre un miracolo, perché “Dio è nel bambino”. 

Le madri dei grandi uomini devono provare questa sensazione. Ma tutte le madri sono madri di grandi uomini e non è colpa loro se poi la vita le delude” (così Pasternak, con parole di poesia, nel Dottor Zivago). È questa la bella notizia: Dio ha a che fare con la nascita di ogni bambino, e va cercato e riconosciuto proprio lì, nel mistero sempre nuovo del venire al mondo di ogni cucciolo d’uomo. Ancora di più: nel miracolo della nascita di Maria, Dio si rende presente col tratto di una predilezione particolare e Maria, già nel concepimento e ancor più nella nascita, è preservata – come con chiarezza ricorda il dogma – da ogni macchia di peccato originale. Perché Maria da sempre è sognata da Dio come Colei nella quale doveva finalmente compiersi l’attesa d’Israele e dell’intera umanità: da lei “è nato Gesù, chiamato Cristo” (Mt 1,16). E’ la Madre di Gesù, la Madre di Dio: è questa la sua unica e insuperabile dignità. Celebriamo la nascita di Maria. A noi come quel giorno a Giuseppe viene ripetuto: Non temere di prendere con te Maria.

Sappiamo cosa abbia significato per Giuseppe accogliere questo invito dell’angelo. Ma per noi cosa potrebbe significare? Anzitutto imparare ad accogliere la disarmonia e la contraddizione. Ci saremmo aspettati chissà quale racconto del momento in cui la Madre del Signore ha visto la luce. E, invece, nulla di tutto questo. In quel lungo elenco di nomi che da Abramo giunge fino a Giuseppe, Maria quasi si perde. Tuttavia, proprio quell’elenco di nomi – i più dei quali tanto inadeguati alla generazione del Figlio di Dio secondo una lettura superficiale – ci restituisce un dato con cui questa festa ci chiede di misurarci: la trama delle nostre vicende a volte disarmoniche e contraddittorie, non rappresenta mai un impedimento definitivo al fatto che Dio porti a compimento il suo disegno di salvezza sull’umanità. A questa consapevolezza non si giunge se non grazie alla fede che è proprio la capacità di tenere insieme la promessa di Dio e ciò con cui siamo confrontati umanamente ogni giorno. Si sarà chiesta certamente Maria come tenere insieme ciò che l’angelo le aveva annunciato di quel bambino: sarà grande, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo… e, ad esempio, quella nascita fuori casa. Lui, il compimento delle attese d’Israele rifiutato proprio dal suo popolo.

Quali contraddizioni! Eppure, il disegno di Dio sulla storia si compie sempre attraversamento l’umanamente inconciliabile. La nostra vita, per quanto povera e fragile, non è scandita dal caso e tantomeno lasciata in balìa del caos. Un’attenzione amorosa accompagna i passi del nostro vagare… Come sarebbe bello poter proseguire quella genealogia fino a raggiungere noi! Tutti nomi, i nostri, che prendono luce da quel frutto maturo, che è il Dio con noi, il Dio mescolato con noi. Questa lunga genealogia che raggiunge me dice la fedeltà di Dio alla nostra terra, alla nostra umanità. Perciò non posso indulgere in atteggiamenti di disperazione. Se Dio è fedele alla mia terra, non posso disperare degli uomini e delle donne di oggi. Dio lega il miracolo della sua presenza alla ferialità dei miei giorni e alla successione dei nostri nomi. Una normalità trasparente, quella di Maria. Nulla di eccezionale nei suoi giorni. Solo tanta disponibilità a fidarsi di una parola che veniva da altrove rispetto ai suoi piani e ai suoi progetti. Quasi una sorta di incoscienza la sua, eppure che cosa ha permesso di realizzare quel suo non complicarsi la vita con vuoti ragionamenti! Prendere con sé Maria significa ancora non scandalizzarsi della propria e altrui piccolezza. Il vangelo non restituisce mai un tratto di vergogna per la misura della piccolezza quando questa si manifesta o sul piano della quantità o sul piano dell’efficienza. Che cos’era Maria e chi era Maria in ordine a ciò per cui ella veniva interpellata? Eppure è per quella strada che Dio si è aperto un varco nella storia dell’umanità. Le nostre proiezioni ci hanno sempre spinto a pensare Dio come al di là della misura più grande.

E invece Dio si mostra da sempre “convertito” al fascino della piccolezza. Addirittura si svuota. “Nulla dell’Altissimo può essere conosciuto se non attraverso l’Infinitamente Piccolo, attraverso questo Dio ad altezza di bambino, questo Dio raso terra dei primi ruzzoloni”, scrive C. Bobin. Questa festività Mariana ci obbliga a ricordare l’apparizione della Madonna nel mondo come l’arrivo dell’aurora che precede la luce della salvezza, Cristo Gesù, come l’aprirsi sulla terra, tutta coperta dal fango del peccato, del più bel fiore che sia mai sbocciato nel devastato giardino dell’umanità, la nascita cioè della creatura umana più pura, più innocente, più perfetta, più degna della definizione che Dio stesso, creandolo, aveva dato dell’uomo: immagine di Dio, bellezza cioè suprema, profonda, così ideale nel suo essere e nella sua forma, e così reale nella sua vivente espressione da lasciarci intuire come tale primigenia creatura era destinata, da un lato, al colloquio, all’amore del suo Creatore in una ineffabile effusione della beatissima e beatificante Divinità e in un’abbandonata risposta di poesia e di gioia (com’è appunto il «Magnificat» della Madonna), e d’altro lato destinata al dominio regale della terra.

Non temere di prendere con te Maria.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa

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