Quando l’anima ha paura di ritrovarsi sola, quando la vita sorprende sottoponendo a dure prove, quando la delusione pervade lo spirito, quando la fiducia offerta a chi amavi cade perché tradita, quando tutto sembra crollare, possiamo avere la forza di dire “Amen?”. Con il Mercoledì delle Sacre Ceneri, ripercorriamo un cammino che dovrebbe condurre a libertà riconoscendo al termine ciò che maggiormente serve da capire per la serenità e la pace interiore.
Il Mercoledì delle Ceneri apre le porte alla Quaresima, periodo di riflessione e preghiera che guida i credenti verso la gioia pasquale. Una celebrazione che segna una netta linea di demarcazione con la lietezza delle festività carnevalesche. Ma in che modo? Attraverso un simbolo potente e pregnante: le ceneri. Il Mercoledì delle Ceneri apre le porte alla Quaresima, un periodo di riflessione e preghiera che guida i credenti verso la gioia pasquale.

Queste, sparse sul capo dei fedeli, ricordano la caducità dell’esistenza umana. Siamo fatti di polvere e alla polvere ritorneremo, ci suggerisce il rito. Una metafora potente che incarna il significato stesso del periodo quaresimale. Ma come interpretare questa simbologia? Le ceneri rappresentano un monito alla nostra condizione di “creaturalità”, di fragilità e di peccato, ma sempre amati da Dio. Siamo una miscela di miseria e nobiltà, di polvere di stelle. Il vero cambiamento, di cui si auspica tutti i fedeli credenti ne sentano la necessità, parte da un’azione semplice e sottovalutata: l’ascoltare. L’ascolto può creare connessioni e accendere una creatività profonda, che si declina in ogni aspetto della nostra vita. Anche quest’anno con il Mercoledì delle Ceneri arriva il Tempo liturgicamente “forte” che conosciamo bene, la “Quaresima”, questi 40 giorni che separeranno dall’evento centrale di tutta la vita di coloro che si professano cristiani, la Pasqua di Risurrezione. Prima scena dell’inizio del tempo liturgico forte sarà il deserto luogo di solitudine, di assenza di caos, dove però si può incorrere in pericoli enormi, senza punti di riferimento, senza conforto, senza compagnia ad alleggerire la fatica o il timore; il deserto è anche il luogo delle ribellioni a Dio, delle mormorazioni, delle contestazioni.

Gesù stesso vivrà il deserto come luogo di purificazione e di tentazioni cui si sottoporrà, essenziale però al suo ministero: il faccia a faccia con il potere dell’illusione satanica e con il fascino della tentazione svelerà in Gesù un cuore attaccato alla nuda Parola di Dio. Il deserto appare anche come tempo intermedio: non ci si installa nel deserto, ma si attraversa il deserto. Quaranta anni, quaranta giorni: è il tempo del deserto per tutto Israele, ma anche per Mosè, per Elia, per Gesù. Tempo che può essere vissuto solo imparando la pazienza, l’attesa, la perseveranza, accettando il caro prezzo della speranza. Per compiere questo cammino occorre essere leggeri, con pochi bagagli: il deserto insegna l’essenzialità, è apprendistato di sottrazione e di spogliazione. Il deserto è Quante piccole grandi promesse si compiono in questo tempo, con la speranza di riuscire a dare un senso profondo, un valore alle azioni di rinuncia che si intendono fare. Tra ritualità proposte che servono a irrobustire lo spirito, anziché piacere a Dio, vi è il “digiuno”.

Fin dall’antichità, dai Padri della Chiesa, agli eremiti, a quanti hanno cercato di comprendere la via per la purificazione e il rafforzamento della volontà e della determinazione, hanno sempre proposto tra le opere più incisive il digiuno e la preghiera. Del digiuno si può dire che: c’è chi lo fa per disintossicarsi, chi per allenarsi ad avere più forza di volontà, chi per curarsi…e chi per pregare meglio. Quando alcune volte in modo leggero ci lasciamo trasportare dal senso di doverosa osservanza, e tralasciamo l’umano? Cosa accadrà poi terminata la pausa delle “buone azioni” compiute per rappacificare, per ottenere, per risvegliare quanto è addormentato o sordo che giace nel centro della nostra anima e che non vuole ascoltare fino in profondità, fino al punto di costituire un vero cambiamento di cuore e di mentalità? Succede che si ritorna alla normalità, al senso di indifferenza, al sorriso negato, alla mano non tesa, al bacio non dato, alla carezza non fatta, all’ascolto negato del cuore sofferente, all’ingiustizia inflitta, all’incapacità di cambiamento autentico, fino all’ipocrisia.

Potrebbe sembrare, ma non lo è, una visione alquanto incoraggiante del tempo di grazia che attende di essere vissuto da moltissimi credenti. Il Mercoledì delle Ceneri, dunque, non è solo una celebrazione liturgica, ma un invito a riflettere sulla nostra esistenza, a riconoscere le nostre debolezze e a contrastarle come forma di preparazione e penitenza. È un momento di introspezione, un’opportunità per allontanarci dalle cose materiali e avvicinarci a Dio. Il Mercoledì delle Ceneri è un giorno di penitenza, ma non festivo. Un momento di purificazione, digiuno e veglia, che segna l’inizio di un cammino spirituale verso la Pasqua. Un cammino che, attraverso la consapevolezza della nostra fragilità e della nostra nobiltà, ci guida verso l’esplosione di gioia della Pasqua. Se non cambia il cuore non cambia nulla: Sobrietà, austerità, astinenza dai cibi sembrano anacronistici in questa società che fa del benessere e della sazietà il proprio vanto. Ma è proprio questa sazietà che rischia di renderci insensibili agli appelli di Dio e alle necessità dei fratelli.

Per il cristiano il digiuno non è prodezza ascetica, né farisaica ostentazione di “giustizia”, ma è segno della disponibilità al Signore e alla sua Parola. Astenersi dai cibi è dichiarare qual è l’unica cosa necessaria, è compiere un gesto profetico nei confronti di una civiltà che in modo subdolo e martellante insinua sempre nuovi bisogni e crea nuove insoddisfazioni. Prendere le distanze dalle cose futili e vane significa ricercare l’essenziale: affidarsi umilmente al Signore, creare spazi di risonanza alla voce dello Spirito. Il digiuno perciò riguarda tutto l’uomo ed esprime la conversione del cuore. Rinnegare se stessi (cf Mt 16,24) non è moralismo o mortificazione delle energie vitali, ma è cessare di considerare se stessi come centro e valore supremo. In questo decentramento da sé, Cristo attua ancora la sua vittoria sul male e l’uomo viene rinnovato a somiglianza di Lui. L’augurio a tutti e ciascuno è di riuscire a vivere questo tempo irradiati da Luce nuova, che veda così il rifiorire della speranza, renda umano davvero il sentimento della Carità compassionevole, evitando che i piccoli, giunti a Dio possano gridargli il dolore loro inflitto ingiustamente, in ogni direzione e in ogni senso.

Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa