L’amore che genera anime e incontra Dio nel volto dell’Uomo Gesù

Ci sono donne che generano vita anche senza figli. Donne che partoriscono luce nel cuore degli altri. Santa Teresa d’Avila è una di queste madri: madre di anime, di vocazioni, di cammini interiori. La sua maternità non si è consumata nel grembo, ma nella lotta del cuore. Una maternità fatta di preghiera, di correzione, di dolcezza e di forza; una maternità che non protegge per trattenere, ma accompagna per liberare. Nelle sue parole, nel suo sorriso di fuoco e nel suo linguaggio semplice e ardente, Teresa trasmetteva il desiderio di amare Dio con tutto se stessi, senza misura e senza paura. Per Teresa, la preghiera non era un esercizio devoto o un obbligo, ma un incontro reale, umano, vivo. Era il luogo dove lo Spirito si faceva carne, dove il Mistero assumeva il volto concreto di Cristo. In Gesù Teresa riconosceva non solo il Figlio di Dio, ma l’Uomo che comprende, che soffre, che ama con cuore vero. In Lui si rifugiava e da Lui si lasciava guardare. “Guardate il Signore che vi guarda” scriveva alle sue figlie, invitandole a non temere il silenzio in cui si fa presente l’Amato. Per lei, pregare era stare alla presenza dell’Uomo Gesù, lasciandosi incontrare, consolare, trasformare. La sua preghiera era dialogo, amicizia, tenerezza che redime.

Quando fondava i suoi monasteri, non costruiva solo mura ma dimore interiori. Ogni comunità era per lei un piccolo giardino dell’anima, un luogo dove Dio potesse rinascere nel cuore di chi Lo cercava. Teresa insegnava che la vera riforma non è fatta di regole nuove, ma di anime nuove: “Il Signore non guarda tanto la grandezza delle opere, ma l’amore con cui si fanno.” E proprio in questo si svela la sua maternità spirituale: un amore che genera libertà, un affetto che educa alla fiducia e una tenerezza che guida verso l’alto. Chi le stava accanto sentiva che Dio non era un ideale lontano, ma un Amico vivo, un Ospite che abita dentro di noi. Teresa insegnò a molti – religiose, confessori, principi e poveri – che il vero cammino è un ritorno al proprio castello interiore, stanza dopo stanza, fino a raggiungere la dimora dove vive l’Amato. In questo viaggio dell’anima ella fu davvero madre: incoraggiava, attendeva, sosteneva, pregava. Era una madre che non imponeva, ma insegnava a camminare.

La maternità spirituale è, in fondo, prendersi cura della nascita dell’altro in Dio. È un amore che non si mostra, ma si offre. Che consola senza chiedere, che ascolta e accoglie, che sa leggere le lacrime e trasformarle in preghiera. È un grembo invisibile che accoglie le fragilità e le offre come semi di redenzione. Teresa d’Avila visse questa maternità fino all’ultimo respiro: con il sorriso di chi ha amato davvero e la forza di chi sa che l’amore non finisce mai. In un mondo che spesso confonde l’amore con il possesso, Teresa ci insegna che amare significa aiutare l’altro a diventare se stesso davanti a Dio. È l’amore che libera, che non trattiene, che non domina ma genera. E questa maternità spirituale non è privilegio di poche elette, ma chiamata di ogni cuore che ama con purezza. Ogni volta che accompagniamo qualcuno nella fragilità, che seminiamo speranza, che crediamo nel bene anche quando non lo vediamo, diventiamo anche noi madri e padri spirituali.

Alla vigilia della sua festa, possiamo guardare a Santa Teresa come a una madre che continua a vegliare sui suoi figli, incoraggiandoli a non temere la profondità della vita interiore. Ci invita a non arrenderci, a custodire la fiamma della fede anche quando tutto sembra buio, a ricordare che ogni preghiera sincera è un atto di nascita. Nel cuore del Carmelo, tra le mura silenziose dei suoi monasteri, Teresa imparò che pregare è amare. Non è recitare parole, ma stare, restare, dimorare alla presenza di Colui che ci ama. Nel Libro della Vita scrive: “Non è altro la preghiera mentale, a mio parere, se non un trattenimento intimo tra amici; stare molte volte in compagnia di Colui che sappiamo amarci.” Ecco il segreto della sua maternità spirituale: saper condurre gli altri a questo incontro, non con teorie o dottrine, ma con la testimonianza di una presenza viva. Per lei Gesù non era un’idea, ma un Amico reale, vicino, tenero e forte insieme. Un Uomo che si poteva guardare negli occhi, che si poteva amare e da cui ci si lasciava amare. Ne Le Mansioni, Teresa racconta che l’anima, quando entra nel castello interiore, trova il suo Re che abita nella stanza più luminosa e più profonda. Ma per arrivarvi non servono ali, bensì umiltà e verità. Scrive: “Non pensate di trovar Dio lontano da voi: dentro di voi Egli sta; e non solo sta, ma Egli vi ama.”

La preghiera, per Teresa, è un incontro progressivo, un cammino che diventa intimità, un dialogo che trasforma. È lo spazio in cui l’anima si lascia guardare e guarire. In questo abbandono fiducioso, Teresa divenne madre di tante anime ferite. Le guidava non a se stessa, ma a Cristo: non offriva consolazioni facili, ma insegnava a rimanere alla presenza dell’Amato anche nei deserti interiori. La sua maternità spirituale è la tenerezza di chi accompagna senza possedere, di chi ama senza chiedere. È la maternità di chi prega, soffre e tace per gli altri. È l’amore che trasforma la propria vita in dimora di accoglienza, in grembo che genera pace. Nelle sue fondazioni, nelle sue lettere, nelle sue notti di malattia, Teresa non cercava gloria, ma verità. Ogni convento era per lei un segno concreto di quell’Amore che si rinnova nel quotidiano. Diceva alle sue figlie: “Non vi chiedo altro se non che Lo guardiate.”
Guardare Cristo, lasciarsi guardare da Lui, e nel suo sguardo imparare a guardare il mondo: questo è il cuore della sua missione. La maternità spirituale di Teresa nasce da qui, da questa relazione viva con l’Uomo Gesù, che la rendeva capace di amare tutti. Alla vigilia della sua festa, possiamo riscoprire in lei una madre che non promette vie facili, ma che insegna la via vera: la via dell’amicizia divina. Ci invita a sedere accanto al Signore, a parlargli come a un amico, a confidargli le nostre stanchezze, a non aver paura del silenzio. Perché la preghiera – come diceva lei – è questo: “stare in compagnia di Colui che sappiamo amarci”, lasciando che il suo amore ci plasmi fino a farci diventare, a nostra volta, madri di vita per gli altri.
E nel silenzio del 15 ottobre, quando la vigilia si fa attesa, possiamo ripetere con lei la preghiera che racchiude tutta la sua maternità: “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi, tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto; chi ha Dio non manca di nulla. Solo Dio basta.”
Prof.ssa Maria Pia Cirolla – Teologa
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