Un mistero pieno d’Amore
Corpus Domini: quale Amore più grande nel donare sé stessi

“Quale amore più grande di questo, dare la vita per coloro che si amano!”. In questa breve frase tratta dal Vangelo di Giovanni (15, 12-17), inserita in un ampio discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli, sul significato dell’essere sequela e sul senso della missione, possiamo racchiudere uno dei tanti significati che possono essere attribuiti alla Solennità che oggi celebriamo, quella del “Corpus Domini” (il Corpo di Cristo, Nostro Signore).

Durante l’elaborazione di questa nostra riflessione ne nomineremo altri di significati e valori che a questa festa cristiana vengono attribuiti. Partendo da queste semplici parole possiamo dire alcune cose da introduzione:
“DARE LA VITA” significa “donarla” come regalo prezioso per chi non ce l’ha, cioè colmare quelle mancanze di fede, di amore, di perdono che altri non hanno, con il dono della propria fede, dell’amore e del perdono che Dio ha dato a noi, per mezzo del Suo Figlio, gratuitamente;
L’essere “AMICI DI GESÙ” comporta seguire i Suoi Comandamenti, se invece li contrastiamo vivendo nel peccato, rompiamo l’amicizia con Dio (lo stesso che fecero Adamo ed Eva);
Non è in nostro potere “SCEGLIERE CRISTO”, non siamo noi a decidere se amarlo oppure no, ma è Lui che ci dona il Suo Spirito e ci permette di amarlo e di amare il nostro prossimo;
Per rimanere in Lui è necessario che “CI AMIAMO RECIPROCAMENTE”, non per il quieto vivere, ma con vera dedizione l’uno per l’altro.
Questi parametri ci aiutano a vivere nel Suo amore, se anche noi siamo disposti a “dare la vita”: il nostro tempo, il nostro lavoro, la nostra famiglia a Dio, allora saremo Suoi “amici”, Lui ci sceglierà come amici e noi impareremo finalmente ad amarci l’un l’altro. Essere amico di Gesù non è una scelta nostra, ma una condizione necessaria per vivere nella Grazia. Da queste prime riflessioni emerge con molta chiarezza quello che racchiude in sé questo grande e affascinante “mistero eucaristico”: essere e diventare cibo per essere mangiato e donare vita a chi lo riceve. In un dibattito molto interessante tra una docente di scuola superiore proprio trattando questo argomento, l’insegnante si è sentita rivolgere questa domanda: “Ma Prof., quindi se io prendo l’Eucaristia significa che sto mangiando un pezzo del Corpo di Gesù?”. Mai domanda più intelligente può essere rivolta ad un’insegnante che pensa di avere la capacità di spiegare sempre tutto con semplicità e chiarezza davanti alla disarmante domanda, lì in quel momento nessun trattato di teologia può supplire alla ragionevolezza di una risposta concreta che rassicuri, che dia spiegazione vera e che lasci semi di riflessione. Ebbene, partendo da questa domanda osservazione dell’alunno alla sua docente, possiamo dire una delle grandi meraviglie che ci viene offerto nel Sacramento dell’Eucaristia: semplicemente una parola contiene il suo senso più pieno ed è “transustanziazione” che indica, “la presenza reale del Cristo nel sacramento eucaristico, attraverso il passaggio totale della sostanza del pane e del vino in quella del corpo e del sangue di Cristo in virtù delle parole della consacrazione pronunciate dal sacerdote durante la Messa”. Non solo Dio ama ma “Dio è amore”. Colui che ci ha messo al mondo, che ci fa in ogni istante, che cammina accanto a noi tutti i giorni, che ci aspetta alla fine è solo amore. Amore infinito, amore che ci perdona e ci ricrea. Come può questa buona notizia essere non solo un’espressione suggestiva ma raggiungere la radice della nostra vita, cambiandola in profondità? Solo se questo Dio diventa un volto in cui potersi imbattere, qualcuno che ci chiama per nome e ci offre la sua amicizia. E infatti la parola amore nella liturgia di oggi è associata alla parola amicizia: «Vi ho chiamato amici»; “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Finché non si arriva a capire che Cristo ci chiama all’amicizia con sé non si è ancora varcata la soglia del cristianesimo. Purtroppo tanti cristiani sono stati abituati a considerarsi servi, vedendo in Dio un giusto padrone che è benevolo verso gli esseri umani solo nella misura in cui si mostrano servitori obbedienti e ossequiosi. Dentro un’esperienza quotidiana di amicizia con Cristo facciamo invece esperienza del fatto che Dio è amore. Questo amore e questa amicizia diventano così la nostra identità più vera. Ciò che ci definisce non sono più le nostre qualità morali o i risultati che riusciamo ad ottenere, e neanche i nostri errori o fallimenti. Ciò che ci definisce è Dio che ci chiama per nome e ci dice: Non lasciarti andare, sei prezioso. Io ti ho scelto e sono con te. Comprendere la nostra vita nel segno di questa scelta significa che ciascuno di noi non è senza un nome, senza una storia, senza un destino. L’amicizia con Cristo, che ci fa scoprire la profondità dell’amore di Dio per noi, porta con sé un nuovo modo di vivere le relazioni tra di noi: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Abbiamo il compito di far sì che la Chiesa, a partire dalle nostre comunità particolari, diventi sempre di più un luogo di fraternità, quasi un anticipo di paradiso. Il nostro contributo alla felicità del mondo consiste allora innanzitutto nel realizzare luoghi di fraternità. “La Chiesa è come un faro, una luce, che rende visibile una possibilità di vita nuova per il mondo. Ecco perché, a partire dalla consapevolezza della vita nuova che Cristo ci dona, dovremmo avere il coraggio di andare verso tutti, di portare a tutti il vangelo, con una preferenza verso coloro che sono lontani. Proprio come fa San Pietro con il centurione Cornelio nella lettura degli Atti degli Apostoli che la Chiesa ci propone nella liturgia domenicale. L’opera di Dio è che, attraverso Cristo, tutti gli uomini partecipino a questa amicizia che lui ha portato nelle nostre vite. Ecco perché sempre di più dobbiamo imparare una passione per il mondo che ci spinga a non vivere più per noi stessi ma a concepire la vita come un’offerta a Cristo, perché tutti lo possano conoscere” (così si esprime con alcune riflessioni Don Davide Meloni, sacerdote). Ecco perché parlavamo all’inizio di “un mistero colmo d’Amore”: perché solo nel suo significato più pieno il valore della vita acquista spessore quando si esclude la logica dell’interesse, quando non si privilegia l’avere, quando si riesce a offrire quel poco o quel molto in eccesso a chi non possiede neanche dell’essenziale, quando si misura con un metro differente dall’egoismo cieco del possesso di beni per aumentare la felicità. L’Amore conosce delle regole diverse da quelle che sono indicate coi criteri solamente della logica del mondo, per dare una chiusa alla nostra riflessione, citiamo alcune espressioni di Papa Francesco durante la Messa in onore di Don Puglisi elevato alla Gloria degli altari che così si esprimeva sull’amore che si dona: “Questa è la sconfitta: perde chi ama la propria vita. Perché? Non certo perché bisogna avere in odio la vita: la vita va amata e difesa, è il primo dono di Dio! Quel che porta alla sconfitta è amare la propria vita, cioè amare il proprio. Chi vive per il proprio perde, è un egoista, diciamo noi. Sembrerebbe il contrario. Chi vive per sé, chi moltiplica i suoi fatturati, chi ha successo, chi soddisfa pienamente i propri bisogni appare vincente agli occhi del mondo. La pubblicità ci martella con questa idea, l’idea di cercare il proprio, dell’egoismo, eppure Gesù non è d’accordo e la ribalta. Secondo lui chi vive per sé non perde solo qualcosa, ma la vita intera; mentre chi si dona trova il senso della vita e vince. Dunque c’è da scegliere: amore o egoismo. L’egoista pensa a curare la propria vita e si attacca alle cose, ai soldi, al potere, al piacere. Allora il diavolo ha le porte aperte. Il diavolo “entra dalle tasche”, se tu sei attaccato ai soldi. Il diavolo fa credere che va tutto bene ma in realtà il cuore si anestetizza con l’egoismo. L’egoismo è un’anestesia molto potente. Questa via finisce sempre male: alla fine si resta soli, col vuoto dentro. La fine degli egoisti è triste: vuoti, soli, circondati solo da coloro che vogliono ereditare. È come il chicco di grano del Vangelo: se resta chiuso in sé rimane sotto terra solo. Se invece si apre e muore, porta frutto in superficie” (in data 17 settembre 2018).
Possa la logica di questo Amore spalancare le porte alla gioia quella che dura e che non conosce la ruggine del trascorrere del tempo, della noia, del passaggio delle mode, dei sentimenti cangianti, in ogni forma di amore nella vita di ogni giorno.

Di Consuelo Noviello

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